Edizioni degne di nota, Libri, Scrittori

Il pettirosso del giardino segreto esisteva davvero

Sono sparita per quasi un anno e ne sono consapevole. Se con la lettura la cosa è stata più lieve, ammetto che lavorare ogni giorno con la scrittura è riuscito a scrollarmi di dosso molta della voglia che avevo di scrivere “per piacere”. Non voglio annoiarvi con i mille cambiamenti che ha subìto la mia vita in un anno e quindi sarò breve: sono felice. Vivo in un monolocale vicino al mare (riesco anche a vederne un piccolo rettangolo dal mio balconcino fiorito); sono ufficialmente un’editor freelance che ha le sue soddisfazioni, ma collaboro stabilmente con una piccola casa editrice che ha un debole per il mare come me; amo e sono amata; scrivo cose creative che però mi tengono per lungo tempo lontana da qui. Ma adesso parliamo di libri, che questo blog è nato in primo luogo per i miei amori editoriali, non dimentichiamolo.

Ho letto Il giardino segreto parecchio in ritardo. Si tratta di un romanzo per ragazzi che in molti leggono da bambini, o gli viene letto dai genitori. Casa mia straripa di libri ma probabilmente questo manca o non ha mai attirato la mia attenzione da bambina. Lo ha fatto però in un momento in cui mi sentivo molto piccola e cioè nel 2020, quando probabilmente tutti ci siamo sentiti più indifesi, più vulnerabili, più bambini. In quel periodo la mia voglia di rivedere la mia famiglia, casa mia (e il giardino di casa mia) era fortissima. Come molti, sentirmi in trappola, inscatolata in una stanza singola al primo piano di un appartamento milanese mi stava facendo impazzire. In più a primavera, la mia stagione preferita! Il mio letto è stato letteralmente circondato di piante (ben quindici), io stessa mi sono trasformata in pianta, con un bisogno psicofisico di mettermi al sole dalle due alle tre ore al giorno. In quel momento è arriva la mia copia de Il giardino segreto, un giardino in formato tascabile, un prato schizzato di macchie di colore in cui potevo andare senza violare il DPCM del momento.

La mia lettura già fertile di immagini mentali brillanti è stata arricchita dalle illustrazione di una delle edizioni magiche di Ippocampo in collaborazione con MinaLima, di cui vi avevo già parlato. Ma perché ve lo sto raccontando adesso che sono libera di vagare in giardini percepibili sotto i piedi e alle narici? Perché ho scoperto una piccola casa editrice di cui mi sono innamorata e voglio parlare con voi di un suo libro.

La casa editrice è la Caravaggio Editore e come potrei non amarla già solo per il nome? Ha una collana che si chiama Classici ritrovati, e una signorina dell’Ottocento come me capitola per forza davanti a un nome che richiama l’arte e a dei classici che ancora deve scoprire. Il libro di cui vi parlo oggi però è della collana Frammenti d’autore e si chiama Il mio pettirosso. Si tratta di un racconto dell’autrice de Il giardino segreto, Frances Hodgson Burnett. Il libro è un piccolo gioiellino editoriale. La copertina è meravigliosa, il frontespizio decorato a motivi fitomorfi, la carta delle pagine abbastanza spessa e ruvida al tatto e ogni piè di pagina è finemente ornato.

Forse non lo sapete, o forse ci siete già arrivati da soli visto che ci ha scritto un intero libro, ma la Burnett amava molto le piante e i giardini. Ovunque andasse dedicava anima e corpo al giardinaggio e a un certo punto della sua vita ha piantato ben 762 cespugli di rose, la sua pianta preferita in assoluto. Il ritrovamento di un’antica chiave che dava accesso a un giardino bellissimo, come narrato nel suo celebre romanzo, è avvenuto davvero nella sua residenza a Great Mytham Hall e il pettirosso citato ne Il giardino segreto è esistito veramente. L’autrice ha fatto la sua conoscenza mentre scriveva e tra i due si è creato un fortissimo legame. Il pettirosso le veniva vicino mentre lavorava e trascorrevano insieme intere giornate. L’autrice si era legata talmente tanto al piccolo esserino alato che era convinta che si appartenessero e nel racconto lo definisce a tutti gli effetti “una persona”.

Sarà che amo gli animali, sarà che amo i giardini, o sarà che vivo con un pappagallino che mi mangiucchia i fogli su cui scrivo e che di rosso ha le guance. Sarà che anche io lo considero “una persona”, un componente della mia famiglia. Ma questo breve racconto di appena 55 pagine mi ha commossa come pochi libri sono riusciti ultimamente a fare. Per questo, per tornare a parlarvi di libri ho deciso di raccontarvi di questa recente scoperta, di questo piccolo frammento di intimità di Frances Hodgson Burnett che sento anche un po’ mia.

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Tornare in Sicilia, per me e per Vittorini

Viaggio di ritorno su una locomotiva di parole

Sono tornata in Sicilia, portandomi dietro 49 vinili e talmente tanti libri che stiamo buttando via una scarpiera per fare posto a una nuova libreria. La situazione è abbastanza complicata e noiosa da spiegare ma capirete bene quanto sia difficile tornare a vivere qui dai miei, dopo quasi sei anni di solitudine e amata indipendenza. Una stanza tutta per me era un post che avevo scritto qualche mese fa, sulla scia della recente lettura della Woolf e che spiegava quanto fosse importante per me la mia autonomia. Chi ha letto altri miei post sa bene, oltre al mio avere come migliore amica la solitudine, quanto io sia una fan della teoria che i libri non arrivino mai per caso. Sanno esattamente qual è il loro momento, e si fanno avanti nel preciso istante in cui abbiamo bisogno di loro. 

Proprio per questo motivo, tornata a casa e totalmente smarrita e confusa per questo cambio repentino di vita, il primo libro che ho estratto dalla magica libreria di mio padre (assolutamente il primo) è stato Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini. Un’edizione stupenda della BUR, che con i suoi toni del verde acido e del giallo limone ha intrappolato il mio sguardo e ha costretto le mie mani a sfogliarla. Al suo interno, le illustrazioni di Renato Guttuso riempivano i miei occhi, e sentivo già quella scintilla che si accende nel lettore quando prende consapevolezza di avere tra le mani il libro giusto al momento giusto.

Questa sensazione è diventata sempre più definita quando ho cominciato a leggere le prime righe riuscendo a dare dei termini più adatti al mio senso di smarrimento e confusione. Ero agitato da astratti furori. La prima pagina e mezza parlava senza dubbio di me. Un’occhiata veloce alla trama. “Silvestro in preda alla cupa disperazione, parte da Milano per tornare in Sicilia. (…) Il viaggio sarà l’occasione per attraversare una galleria onirica di personaggi e situazioni allegoriche, per decifrare il ritorno alle origini come premessa di una possibile riscossa collettiva“. Decisamente mio.

Il viaggio. Di solito il mio viaggio è lunghissimo, perché ho sempre con me, oltre la valigia, un pappagallo giallo al quale è vietato accedere in aereo. Questo da quando c’è stata la famosa aviaria (sì, siamo rimasti nel 2000). Il viaggio in treno è stancante ma ricco di storie e immagini. Il finestrino è un film che esibisce fieramente l’Italia intera, e nel corridoio si sentono i racconti delle vite degli altri, così distanti dalla mia. Ci sono in qualche modo affezionata. Quando scendo in Sicilia, la mattina dopo mi sveglio vedendo il mare dopo mesi di astinenza. Quando salgo a Milano, invece, mi capita di svegliarmi con la neve.

Quest’ultimo viaggio però è stato diverso. Sono scesa in auto con i miei, riempiendo delle cose accumulate in sei anni un’auto chiocciola guidata da un papà che fa ancora su e giù per chilometri, fingendo di non avere 67 anni. Sono grata di tutto questo ovviamente. Eppure, ammetto di aver pensato che a Natale, l’ultima volta che ho viaggiato in treno, non avevo idea che fosse l’ultima volta. Forse sarei stata più attenta a immortalare i paesaggi e a conservarli nella memoria, forse avrei origliato più conversazioni invece di chiudermi nel vagone letto a leggere Un amore di Buzzati. Bugia, questo non lo avrei fatto. Ho sentito di non aver fatto il mio ultimo viaggio in treno consapevole. Eppure, vi dirò, me lo ha regalato Vittorini in questo magico libro. Nelle sue parole appropriate, azzeccate, calzanti è descritto il mio ultimo viaggio di ritorno che non ho fatto in treno.

Ero in viaggio, e a Firenze, verso mezzanotte, cambiai treno, verso le sei del mattino dopo cambiai un’altra volta, a Roma Termini, e verso mezzogiorno giunsi a Napoli, dove non pioveva e spedii un vaglia telegrafico di lire cinquanta a mia moglie. (…) Poi viaggiai nel treno per le Calabrie, ricominciò a piovere, a esser notte e riconobbi il viaggio, me bambino nelle mie dieci fughe da casa e dalla Sicilia, in viaggio avanti e indietro per quel paese di fumo e di gallerie, e fischi inenarrabili di treno fermo, nella notte, in bocca a un monte, dinanzi al mare, a nomi da sogni antichi, Amantèa, Maratèa, Gioia Tauro. (…) Mi addormentai, mi risvegliai, tornai ad addormentarmi, a risvegliarmi, infine fui a bordo del battello-traghetto per la Sicilia. Il mare era nero, invernale, e in piedi sull’alto ponte, quell’altipiano, mi riconobbi di nuovo ragazzo prendere il vento, divorare il mare verso l’una o l’altra delle due coste con quelle macerie, nel mattino piovoso, città, paesi, ammucchiati ai piedi. Faceva freddo e mi riconobbi ragazzo, avere freddo eppur restare ostinato sull’alta piattaforma nel vento, a picco sulla costa e sul mare.

Il viaggio proseguiva ancora. Ma se Vittorini descrive l’intero viaggio da Milano allo Stretto in una paginetta scarsa, il percorso per arrivare al suo paese natale viene descritto in una ventina di pagine. Ironia della sorte: anche per me sembra un viaggio rapidissimo quello sul treno che attraversa l’intera Italia la notte. Quando poi si giunge in Sicilia, però, sembra improvvisamente rallentare e non arrivare mai a destinazione.

Libri

Cose che ogni book lover vorrebbe (togliendo i libri)

Il mese di gennaio 2020 non è segnato nel mio calendario da nessun articolo. Anche febbraio sta finendo e io mi ero detta che almeno una volta al mese avrei scritto qui sul blog. Che volete farci? I buoni propositi nascono per essere infranti. Purtroppo dovevo dedicarmi un po’ alla tesi del master, la scadenza si avvicina pericolosamente. E con lo stage che mi impegna tutti i giorni, riuscire anche a ritagliarmi un momento per la scrittura personale diventa difficile. Ho cominciato anche a lavorare come copywriter, e quindi sto tutto il giorno a battere le dita sulla tastiera del pc, non riesco proprio a farmi venire voglia e idee per un post a fine giornata. Ma ho già in mente un modo per farmi perdonare. Tra pochi giorni sarà il mio compleanno e, in ordine, in questi casi si pensa: alla compagnia (scarsa visto che è il secondo compleanno-covid), al cibo e ai regali. Ecco, ho preparato una mini lista di cose che ogni book lover vorrebbe (togliendo i libri)! Ma nessuno prenda spunto per me, sono tutte cose che già ho (tranne una che è in programma tra gli acquisti). Pronti a maledirmi, amanti dei libri?

La luce da lettura: che sia a forma di abat jour, o un segnalibro con una lastra trasparente che riesce a illuminare la pagina che state leggendo, farà felice ogni book lover che si rispetti, soprattutto gli insonni.

La tazza book lover: la mia tazza preferita con la definizione di me medesima (e pure la vostra, immagino). Meglio ancora se accompagnata dallo scalda tazza della stessa linea Legami che, attaccandolo a una porta USB, terrà al caldo il vostro tè, caffè, quello che è.

Il fermalibro: no, non ho detto segnalibro. Sto parlando di un aggeggio a forma circolare che poggia su una base. Si può trovare a pochi centesimi in plastica o a qualche euro in più in materiali più pregiati come il legno o il metallo. Serve a tenere aperte entrambe le pagine del libro con una sola mano, infilandoci dentro il pollicione.

Due libri dell’Universale Economica Feltrinelli con la coperta del lettore: io amo questa iniziativa di Feltrinelli. Non perdo mai occasione per regalarmi due libri, e ricevere così in omaggio il plaid con la stampa di una delle tre copertine scelte dall’editore.

L’agenda tascabile per maniaci dei libri: siamo ancora a febbraio, siete in tempo per regalare un’agenda. Quella per maniaci dei libri di Edizioni Clichy è stupenda. Dal colore della copertina, agli interni dedicati agli autori, è letteralmente perfetta. Io l’ho ricevuta per Natale e ne sono stata super felice! Ogni book lover la desidererà ardentemente dopo averla vista.

Un segnalibro particolare: io letteralmente adoro quelli di mybookmark In particolare quelli di Darth Vader e C3-PO perché ho sviluppato un’ossessione per Star Wars. Ma per le ragazze più romantiche ci sono un sacco di soggetti con altri personaggi di film e libri. La caratteristica principale è qualche parte del corpo (che rende riconoscibile il personaggio) che esce dal libro. Dategli un’occhiata!

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Una borsa a forma del libro preferito del book lover: ne ho comprata una da Well Read. Nessun libro viene maltrattato come in altri casi in cui si utilizza la vera copertina del libro, svuotandola del suo contenuto. La borsa è costruita come vengono realizzate le copertine e sono disponibili diversi soggetti classici. La mia di Piccole Donne è senza dubbio la mia borsa preferita.

Libri

Libri da regalare per Natale

Non sai ancora che pesci pigliare con i fatidici doni ad amici e parenti? Guarda che è il 19 dicembre, devi darti una mossa! Ecco una lista di libri da regalare per Natale in base alla personalità e ai gusti di ognuno di loro. Perché forse sarà un Natale diverso dal solito ma l’unica cosa che possiamo fare è affrontarlo con ironia e leggerezza. Poi, non so a voi, ma a me piace da morire fare regali e ancora di più regalare (e ricevere) libri. Sono doni che costano poco e che, se scelti con cura, valgono tantissimo agli occhi di chi li riceve. Ma bando alle ciance, come dicevo siete già in ritardo.

Il fratello che si è laureato in medicina proprio in quest’anno assurdo: Il dottor Semmelweis, edito da Adelphi è un libro che racconta del primo medico che nell’Ottocento ha compreso l’importanza di lavarsi le mani e disinfettare ogni cosa (suona a tutti familiare quest’anno, vero?). Inoltre, si tratta della tesi di laurea in medicina di nientepopodimeno che Céline! Insomma, non può assolutamente mancare nella libreria di un medico del 2020.

La mamma che “quando ero ragazza io”: Finché il caffè è caldo è un libro in perfetto stile giapponese che racconta la storia di una caffetteria magica in cui è possibile tornare indietro nel tempo. Rispettando delle regole precise ovviamente e, che ve lo dico a fare, non lasciando che il caffè si raffreddi.

La sorella fanatica di Harry Potter: Se non potete regalarle una bacchetta vera portandola da Olivander potete comunque farla felice con la nuovissima edizione di Harry Potter e la pietra filosofale illustrata da MinaLima. Se vuole la comodità della lettura in italiano, nel nostro paese il libro è edito da Salani. Se invece è una fan della vecchia traduzione come me e ha già la sua copia in italiano, preferirà probabilmente la versione in lingua originale che potrete trovare nel sito dei designer o, più semplicemente, su Amazon.

Il papà che ha fatto il classico e recita ancora a memoria l’incipit di Iliade e Odissea: Madeline Miller, insegnante di greco e latino, e la sua Circe terranno a bada la nostalgia dei vostri papà per i bei tempi andati del liceo. Questo libro approfondisce uno dei personaggi più odiati e incompresi dei miti classici con abilità e sapienza, facendoci cambiare per un po’ prospettiva e forse anche idea su questa misteriosa maga.

La cugina che ha letto tutto Dostoevskij e sta per finire anche i Tolstoij a disposizione: Lo so, lo so, crisi. I nostri scrittori russi defunti non possono di certo sfornare nuovi best seller e quindi qual è la soluzione? Se ha già divorato anche tutto Gogol’ consiglio vivamente Sergej Ščukin. Un collezionista visionario nella Russia degli zar di Natalia Semënova e André Delocque, edito da Johan & Levi. Si tratta della storia di un collezionista di arte moderna russo, la cui vita non ha nulla da invidiare ai personaggi dei romanzi ottocenteschi in quanto a colpi di scena e drammi familiari. Se poi la cugina è anche appassionata d’arte l’avrete conquistata.

Il ragazzo a cui non hai mai dichiarato i tuoi sentimenti (e che non sa neanche che esisti): So quanto sia difficile parlare di ciò che si prova ma è importantissimo farlo. Se facendolo rischiamo di essere rifiutati, non provandoci affatto il due di picche è assicurato e prima o poi ci toccherà vedere la persona che amiamo mano nella mano con qualcun altro, domandandoci se poteva andare diversamente. Se proprio non riuscite a dirglielo, fateglielo leggere in una storia breve che ho trovato molto emozionante. Lettera da una sconosciuta di Stephan Zweig, edito da Adelphi.

Il migliore amico fissato con i viaggi: quest’anno gli è andata male, poverino. Ma a te non troppo! Con pochi euro puoi comunque regalare un viaggio al tuo amico, in perfetta sicurezza e a bordo del mezzo più comodo del mondo (il letto). Con Atlante leggendario delle strade d’Islanda edito da Iperborea, mappa alla mano e una leggenda per ogni luogo di questa isola incantata. Per viaggiare con la fantasia e progettare nei minimi dettagli un itinerario vero per un futuro non troppo lontano, ci auguriamo.

I consigli possono essere infiniti, come gli amici e i parenti che ci stanno accanto. E quindi, oltre alla mia lista, vi lascio quella simpaticissima di una delle mie librerie preferite di Milano, Gogol & Co., che mi ha dato l’ispirazione per questo post.

E tu quale libro vorresti ricevere per Natale?

Libri, Scrittori

I libri della biblioteca

Come ormai saprete, vivo in una stanza in affitto, la più piccola delle due camere da letto nel bilocale che condivido con la mia coinquilina. E, di conseguenza, anche la mia libreria è di dimensioni molto ridotte. Questo mi costringe a fare una cernita dei libri che voglio assolutamente tenere con me qui a Milano, di quelli che voglio leggere da un’edizione particolarmente bella, di quelli di cui desidero anche l’edizione inglese perché sono i miei preferiti in assoluto. A settembre, per un ricambio di libri, ho dovuto riempire una valigia con i volumi che avevo già letto e lasciarla ai miei genitori, per ricavare un po’ di spazio. Ma è di nuovo quasi piena!

Le voglie di libri hanno tutta una loro logica e, anche se ne ho ancora diversi da leggere sugli scaffali della mia libreria, non sempre ho sotto mano quello che mi stuzzica l’appetito in quel momento. Come dire, io amo la pasta ma può capitare che una sera abbia voglia di sushi, no? Manca sempre qualche libro che mi incuriosisce in quel preciso istante o di cui sento essere arrivato il momento adatto. Allora ho preso l’abitudine di chiederli in prestito in biblioteca, non avendo più dove metterli. Anzi, se c’è una cosa che non mi fa sentire sola, in questo momento di contagi in risalita in cui tutte le mie amicizie sono al sud, sono proprio i libri della biblioteca. L’idea che lo stesso titolo sia stato scelto e letto da qualcuno prima di me, l’idea di avere qualcosa in comune con qualcuno che non conosco ha un che di rassicurante. Un pezzo di destino diviso con uno sconosciuto. Pensare che il volume abbia visto tante case, tante mani e occhi di proprietari diversi mi fa sperare che esistano tante anime affini alla mia e che ne esisteranno ancora altre dopo che lo avrò riconsegnato. Per non parlare di quando chi lo ha avuto prima di me lascia tra le pagine qualche indizio di sé: un biglietto del cinema o di un museo, un foglio di appunti dell’università, uno scontrino. Piccoli segnalibri che danno il “ciak” a immediati corti mentali.

Adesso sto leggendo Lizzie di Shirley Jackson (perché sono una di quelle banali persone che a fine ottobre deve assolutamente leggere letture a tema) e, mentre stringo la sua copertina blu navy tra le mani, immagino che il precedente proprietario fosse una donna. Una ragazza, in verità. Un’universitaria di ventidue anni, per la precisione. Eccola che prende forma: è longilinea, ha occhi scuri e profondi come tazze di caffè, incorniciati da occhiali tondi, metallici, come si portavano un tempo e come sono tornati in voga oggi. La frangia e un caschetto delimitano un ovale perfettamente simmetrico. Ha un taglio di capelli desiderato da ogni donna, dopo aver visto Mia Wallace danzare in Pulp Fiction, ma che non dona quasi a nessuna (mica siamo tutte Uma Thurman!). A lei però sì, le sta proprio d’incanto. Studia scienze politiche, le interessano i diritti delle donne, è appassionata di film horror degli anni ’80 e adora Stephen King. Prima di Lizzie ha divorato il suo romanzo L’incendiaria e nella prima pagina si è imbattuta nella dedica, che riportava:

A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce.

Si è domandata chi fosse questa donna che non ha mai urlato per farsi notare. Oggi, quasi ogni domanda che si materializza tra i nostri pensieri trova subito una risposta, se vuole davvero trovarla. E così ha digitato questo nome femminile su Google e ha scoperto che è una scrittrice. Un’autrice che ha ispirato il suo beniamino! Come è potuta sfuggirle una King femminile? Come ha potuto essere tenuta così a lungo allo scuro di una Queen? Quindi è stato un attimo (aveva già lo smartphone in mano per la precedente ricerca), è entrata sul sito della biblioteca di Milano, ha letto la trama di Lizzie, le è piaciuta, due copie disponibili e via, una prenotata. Lei non lo ha comprato perché l’odore dei libri nuovi non le piace come quello dei libri vecchi, che hanno quel profumo inspiegabile di vaniglia. Mi piace pensare che lo abbia terminato in due giorni, rimandando lo studio di Diritto internazionale, che tanto la sessione invernale è ancora lontana! E che, in questo venerdì sera, sia raggomitolata accanto al suo ragazzo, su un morbido divano verde, che abbiano ordinato una maxi pizza da dividere in due e che, proprio adesso, stiano cliccando il tasto play sul primo episodio di Hill House su Netflix. Quando finirà la serie prenoterà sicuramente il libro in biblioteca. Se non lo avrò fatto prima io! E allora le toccherà aspettare e magari immaginare sembianze e interessi di chi lo ha avuto in prestito prima di lei.

Libri

Tre libri in cui si può sentire distintamente l’odore del mare

Ho la fortuna di essere nata su un’isola, un’isola bellissima con un vulcano attivo. E come diceva Pirandello:

Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natìa circondata dal mare immenso e geloso.

Sono un’isola anche io, dunque, e ogni volta che mi trovo a Milano la cosa di cui sento di più la mancanza è il mare. Mi sento a mio agio come in nessun’altra situazione quando sono dentro quell’acqua salata che riconosco come casa e quest’anno mi è andata bene perché è da giugno che vedo, annuso, tocco mare ma non sempre è possibile.

Questa sensazione di casa che ho solo quando respiro aria salmastra me l’ha regalata anche qualche libro che ha come argomento principale questo grande blu pieno di segreti. Si tratta di libri preziosi che vorresti non finire di leggere mai e conservare gelosamente per rileggerli quando la lancetta del “bisogno di mare” batte pericolosamente sul rosso. Che ne so, quando hai solo una settimana di ferie e non puoi fare davvero il pieno della tua isola, quando non puoi tornare neanche a Natale perché ti tocca lavorare (vedi il 2019 di Anna). Libri magici che hanno lo stesso effetto di una conchiglia, se fra le pagine vi capita di poggiare l’orecchio potete quasi sentire lo scroscio delle onde che si infrangono sulla costa.

Il libro del mare: edito da Iperborea ha una delle copertine più belle che io abbia mai visto. Ma d’altronde, quale libro Iperborea non ha illustrazioni splendide? La storia è vera e ce la racconta Morten che, insieme al suo amico Hugo, decide di andare a pescare…non un tonno, non un pesce spada ma il temibile squalo della Groenlandia. Questa caccia alla Melville è, però, solo un pretesto per scoprire tutto ciò che non sapevate del mare e dei suoi abitanti! Un libro che non poteva davvero avere un titolo diverso e che è riuscito a raccogliere tutta l’acqua salata del nostro pianeta (ben il 97% dell’acqua presente) in 10×20 centimetri. Se amate il mare non dovete assolutamente perdervelo!

E ancora oggi il mare costituisce più del settanta per cento della superficie terrestre. Qualcuno una volta ha scritto che il nostro pianeta non dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe semplicemente chiamarsi Mare.

Oceano Mare: di Feltrinelli, è probabilmente il libro più conosciuto di Alessandro Baricco. Il motivo è semplice, è assolutamente meraviglioso. In un clima onirico e surreale, al centro di tutto c’è il mare e attorno ad esso gravitano dei personaggi da fiaba il cui destino è legato a questa distesa d’acqua, a volte gentile e altre crudele. Alla locanda Almayer, dove alloggiano i protagonisti, impareremo a conoscerli e a innamorarci di ognuno di loro. Il mio cuore batte soprattutto per Bartleboom che, ogni giorno, scrive una lettera d’amore per una donna che deve ancora incontrare. Ma anche il pittore Plasson è un personaggio degno di un film di Wes Anderson!

L’uomo non si volta neppure. Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l’ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c’è solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere. Soffia come sempre il vento da nord e la donna si stringe nel suo mantello viola. – Plasson, sono giorni e giorni che lavorate quaggiù. Cosa vi portate in giro a fare tutti quei colori se non avete il coraggio di usarli? Questo sembra risvegliarlo. Questo l’ha colpito. Si gira a osservare il volto della donna. E quando parla non è per rispondere. Vi prego, non muovetevi – , dice. Poi avvicina il pennello al volto della donna, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scorrere da un angolo all’altro della bocca. Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell’acqua, e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della donna rimane l’ombra di un sapore che la costringe a pensare “acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare” – ed è un pensiero che dà i brividi.

I pesci non chiudono gli occhi: edito anch’esso da Feltrinelli, è un libro che è una carezza. Di una delicatezza e potenza incredibile, racconta l’amore visto attraverso gli occhi di un bambino per la prima volta nella sua vita. Cosa c’entra il mare? La storia è ambientata in un’isola nei pressi di Napoli e c’è più mare in questo libro che in un piatto di spaghetti allo scoglio. Fresco come l’acqua del mare di giugno e leggero come il primo bacio dato in una spiaggia, leggendolo riscoprirete i sentimenti più puri che gli amori non corrisposti e gli anni hanno sepolto dentro di voi.

L’infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato delle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori.

Libri

Come ordinare la propria libreria?

Ho appena finito di leggere Come ordinare una biblioteca di Roberto Calasso, edito (ovviamente) da Adelphi. Una piacevole lettura che parla di una delle cose che più amo al mondo: i libri. E mi sono ritrovata a chiedermi se effettivamente esista un criterio più corretto per riordinare i propri volumi.

Quando sono tornata in Sicilia ho sentito l’esigenza di ordinare e rendere più mia una camera che non apparteneva più alla me di oggi, completa di tutti i cambiamenti che cinque anni possono apportare in una persona. Le mensole erano piene di peluche della mia infanzia e l’armadio colmo di vestiti di cui non ho mai sentito la mancanza in questo lungo periodo e che, quindi, non avrei più indossato. Il mio adorato mondo di cui sono molto gelosa e nel quale ho permesso di entrare a pochissimi eletti, il mio pianeta, che riesco a stento a contenere all’interno di quattro pareti, era rimasto a Milano. Ma c’erano ancora alcune cose della me di oggi sparpagliate in questa macchina del tempo guasta e ferma nel 2015: tante fotocamere analogiche, due ukulele, i miei Dylan Dog e tanti miei libri. E così, sacchi neri alla mano, cianfrusaglie buttate via, peluche e vestiti regalati, spazi riorganizzati, un paio di piante: la mia camera era di nuovo mia. (Tranne che nel colore che non so come potesse piacermi allora).

Ho in qualche modo riordinato anche la mia libreria. Ha una forma molto strana e non è facile riorganizzarla: le prime due mensole sono di eguale lunghezza ma la centrale si allarga molto anteriormente e l’ultima è praticamente alta quanto le prime due messe insieme e i libri devono necessariamente essere disposti in orizzontale per riempirla, coricati sulla copertina e non in modo tradizionale, verticalmente. Il mio “ordine” è stato semplicemente quello di tirarli fuori tutti, spolverarli e disporli (per quanto possibile) con il dorso visibile, per renderli più accessibili durante la mia fame chimica di inchiostro. Ho disposto più in alto, nelle mensole meno strane, i miei libri preferiti e quelli che vorrei leggere a breve per ritrovarli facilmente e, più in basso, in quelle pile orizzontali così scomode, libri che ho letto di recente o non ho intenzione di leggere nell’immediato. A tal proposito, nel mio finto ordine mi sono trovata molto d’accordo con quello che scrive Calasso riguardo le biblioteche:

L’ordinamento di una biblioteca non dovrebbe trovare mai una soluzione. Semplicemente perché una biblioteca è un organismo in perenne movimento. È terreno vulcanico dove sempre qualcosa sta succedendo, anche se non percepibile dall’esterno.

Ma nei miei sogni (e nella realtà, quando avrò una casa tutta mia con un’enorme libreria che ricoprirà un’intera parete) i libri sono sistemati in maniera molto differente.

La mia biblioteca ideale è strutturata per case editrici, per quanto possibile, ovviamente. Adoro follemente tutte quelle edizioni che hanno delle copertine preziose, che riproducono l’effetto pelle e sono ricche di romantici decori in oro e argento. Ho la fortuna di aver avuto in regalo da mia nonna alcuni libri di una collezione di classici De Agostini del 1985, con copertine colorate, abbellite da ghirigori e arabeschi, e titoli e autori imprigionati in rettangoli sfalsati e dai toni a contrasto che danno incanto e movimento alla libreria. E un’intera collezione, sempre di classici, di mia madre, edita ancora da De Agostini ma datata 1982, con delle serie copertine color cuoio e sul dorso semplici ed eleganti titoli, scrittori e cornici in oro.

A causa di questa mia ossessione per le edizioni belle sono decisamente impazzita per i libri di MinaLima, qui in Italia editi da Ippocampo, di cui ho parlato nel primissimo post su questo blog. Inoltre, ho cominciato a collezionare “Storie senza tempo“, la collana di classici edita da RBA, che individua come protagonista assoluta la donna nella letteratura. Questi volumi sono caratterizzati da copertine splendide, arricchite di motivi naturalistici e ispirate alla collezione gioiello Cranford.

Insomma, la mia libreria ideale è quella de La Bella e la bestia direte voi! Sì, non siete lontani dalla verità. Ma ovviamente non leggo solo classici, anche se devo ammettere che hanno un posto speciale nelle mensole del mio cuoricino. Mi piacciono anche libri un po’ più recenti e cerco di interessarmi alle novità. Ho, però, delle predilezioni per alcune case editrici, di cui possiedo un numero maggiore di volumi. Adoro i libri Adelphi e so che li sistemerei tutti vicini, in ordine cromatico (riordinando anche le tonalità differenti dello stesso colore) e i volumi Iperborea che con quel loro formato particolare e le bellissime copertine colorate non si possono separare assolutamente. Per non parlare dell’essenzialità e dell’eleganza della Bianca di Einaudi, le cui raccolte di poesie devono restare vicine in quella distesa di candore che è un piacere per gli occhi. Procederei allo stesso modo anche per gli altri volumi delle stesse case editrici e terrei l’ordine tematico soltanto per i numerosissimi libri a tema arte che possiedo e che sono editi da CE differenti (così tanti che sia qui che a Milano ho una mensola apposita).

Ma ciò che per me è la realizzazione di una libreria da fiaba per altri può risultare solo piacevole per gli occhi e poco utile. Per il Libraio, poiché puramente estetico, addirittura superficiale (suvvia, non esageriamo). Quindi vediamo di capire altri modi per sistemare le librerie.

Ordine alfabetico: auguri, amici! Se avete pochi libri è utile e può anche diventare semplice ma a casa mia, tra me che acquisto un libro a settimana e mio padre che ne compra uno ogni due giorni, la cosa diventa complicata, se non impensabile.

Ordine tematico: è trattato all’interno di Come ordinare una biblioteca e ne riporto una citazione che, per un momento, ha convinto pure la Belle che è in me.

Inevitabile in alcune zone, l’ordine alfabetico diventerebbe letale se applicato a tutte. Di certi libri – sui funghi, sulle piante in Cornovaglia, su celebri partite di scacchi e innumerevoli altri casi – si ricorda l’argomento, ma spesso si dimentica l’autore. Inserirli in un ordine alfabetico generale equivarrebbe a perderli di vista. Meglio formare piccoli atolli di argomenti affini, a cui questi libri aderiranno, come conchiglie alla roccia.

Ordine cronologico: dovete avere molta pazienza, una memoria ferrata per i numeri e una cultura smodata. Sbirciare su Wikipedia non vale!

Ordine per genere: se avete una collezione variegata può essere carino anche appendere dei cartellini col genere in stile libreria (intesa come negozio), se leggete solo gialli non è fattibile.

Ordine di provenienza degli autori: per Il Libraio il criterio indiscutibile. Una sezione per gli italiani, una per i russi, una per i francesi e così via. Però se dobbiamo consultare quel famoso libro sulle piante di Cornovaglia di autore x?

Ordine dei libri già letti e ancora da leggere: può essere molto utile per monitorare le proprie letture, però le riletture come andranno gestite?

Come ci è più comodo: perché alla fine sappiamo che un vero lettore avrà sempre 5 o 6 volumi sul comodino e rimescolerà i tomi durante le sue ricerche. L’importante è che i libri vengano letti, amplino il nostro modo di pensare, ci arricchiscano a livello personale. Non è essenziale in che modo decidiamo di disporli nella nostra libreria. E per citare un’ultima volta Calasso:

Non c’è bisogno che i libri siano in ordine – e neppure in disordine – per rivelare qualcosa del loro proprietario. Possono anche stare in scatoloni appena aperti. Qualcosa comunque si rivelerà.

Arte, Libri

Il Signore dei disegni: le illustrazioni di Tolkien

Questo post è nel limbo delle bozze (insieme ad altri due sfortunati compagni) dal 25 aprile. Lo avevo iniziato in quarantena e mai finito e ho deciso di riprenderlo oggi.

Durante il lockdown la situazione è stata difficile e decisamente fuori dal comune, il mondo come lo conoscevo è cambiato e, personalmente, ho sentito l’esigenza di nascondermi in un posto che quando ero bambina era il mio rifugio sicuro: il fantasy. Tutto ha avuto inizio a fine febbraio, dal giorno in cui ho compiuto 28 anni e il covid-19, che a Milano ha fatto la voce grossa prima che altrove, mi ha impedito di andare a Torino, come avevo in programma di fare, e costretta a rimanere in casa. Con una mia cara amica abbiamo visto tutti e otto gli episodi di The Witcher, mangiando schifezze e bevendo birra senza ritegno.

Poi è iniziata la quarantena per tutti e io e la mia coinquilina abbiamo ripetuto i nostri 7 anni a Hogwarts (prima che Italia Uno mandasse la lettera di ammissione al resto dello stivale); in seguito, abbiamo fatto una gitarella nei Sette Regni, anche se è stato un viaggio tortuoso, da quelle parti litigano tutti per un trono neanche particolarmente comodo; infine, siamo andate alla ricerca dell’Unico Anello, facendo sempre e solo il tifo per Sam, per noi unico, vero eroe. Di quest’ultima storia fantasy parleremo oggi. Ma faccio subito outing: io non ho mai letto Il Signore degli anelli, mi ha sempre inibita. Da piccola ero una lettrice famelica di qualsiasi cosa avesse dentro magia, draghi, creature fantastiche ma strabuzzavo gli occhi quando vedevo quel macigno sul comodino di mio cugino. Il mastodontico tomo edito da Bompiani mi fissava offeso perché in tre giorni riuscivo a divorare le 623 pagine di Harry Potter e il calice di fuoco ma non mi passava neanche per l’anticamera del cervello di iniziare quella Bibbia del fantasy. Volete che mi addossi tutte le colpe della mia mancanza? Potrei, sì. Ma il torto non sta sempre da una sola parte e quindi oggi mi sento in dovere di dire che magari, se avessero fatto un’edizione illustrata da Tolkien, la me bambina si sarebbe sentita più coraggiosa e invogliata a cominciare un libro così impegnativo.

Conversazione con Smaug, © Tolkien Gateway e Tolkien Estate.

J. R. R. Tolkien, infatti, era un perfezionista. Cosa ci potevamo aspettare da una persona che per il suo libro ha creato appositamente delle lingue? Che ha controllato minuziosamente alcune delle 38 traduzioni scrivendo una Guida ai nomi del Signore degli Anelli perché nessuno si prendesse la briga di modificare, neanche in minima parte, un mondo che aveva costruito tassello dopo tassello? Ebbene sì, Tolkien ha curato la sua opera talmente nel dettaglio che ha voluto pure illustrare, per mostrarceli meglio, i luoghi e i personaggi che abitavano la sua mente e il suo libro. Era un artista a tutto tondo. Oltre a scrivere divinamente disegnava da quando era un ragazzo e, pur non essendo particolarmente ferrato nella figura umana e nella sua anatomia, andava pazzo per i paesaggi. Ogni volta che intraprendeva un viaggio portava con sé il suo blocco da disegno e gli acquerelli per immortalarlo.

Disegno del fosso di Helm realizzato su un foglio utilizzato per un esame di Oxford, © Wired.com e Bodleian Libraries, Università di Oxford.

Durante la stesura de Lo Hobbit, nonostante il suo editore avesse sentenziato che i soli disegni delle mappe fossero sufficienti, Tolkien realizzò diversi schizzi per tradurre in immagini i suoi pensieri e le sue parole. I disegni erano talmente belli che anche l’editore Allen & Unwin cambiò idea e la prima edizione del 1937 venne pubblicata con undici illustrazioni e mappe a colori.

Bilbo arriva alle capanne degli elfi barcaioli, illustrazione non inserita inspiegabilmente nella prima edizione del 1937 ma solo nella seconda del 1938, © Tolkien Gateway e Tolkien Estate

Quando lavorò a Il Signore degli Anelli, i disegni e gli schizzi furono più di cento e servirono anche ad aiutare sé stesso a rendere in maniera particolareggiata il complesso mondo che stava creando con la sua scrittura. Ciò è chiaro anche dal fatto che alcuni dei disegni sono semplici scarabocchi a bordo pagina o su fogli usati, non curati con la meticolosità di alcune illustrazioni. Durante la stesura del volume, infatti, scrittura e disegno si intrecciavano indissolubilmente per realizzare una narrazione il più dettagliata possibile. Realizzò anche delle pagine verosimili del Libro di Mazarbul, lo pseudobiblion citato all’interno del volume, riuscendo a rendere visivamente la loro natura frammentaria bruciandone alcune parti. Purtroppo, il budget non permise di pubblicarle. Infine, lo scrittore, non contento, creò per i tre diversi volumi anche tre differenti e suggestive sovraccoperte.

Illustrazione di Gran Burrone, © Tolkien Gateway e Tolkien Estate.

Se non vi ho ancora convinti vi invito a vedere tutte le illustrazioni disponibili su Tolkien Gateway. Allora? Posso avere le mie edizioni illustrate con tanto di copertine, per favore? Ho più di mille pagine da recuperare.

Arte

Quattro artisti che hanno illustrato libri per bambini

Ultimamente abbiamo bisogno, più del solito, di bellezza. Un po’ per le lezioni che sto seguendo, che si stanno concentrando sull’editoria per ragazzi, un po’ per i miei studi artistici alla base, oggi voglio scrivere di illustrazione. Ma non di illustrazione contemporanea, pur essendo assolutamente degna di nota, di un’illustrazione particolare firmata da grandi nomi, non subito collegati dal nostro cervello all’illustrazione.

Marc Chagall e le favole di La Fontaine

Era il 1926 e l’editore Ambroise Vollard, nonché mercante d’arte di autori del calibro di Van Gogh, Picasso e Cézanne, chiese a Marc Chagall di illustrare le favole di La Fontaine. In verità, Marc aveva già illustrato Le anime morte di Gogol, tre anni prima, sempre su commissione di Ambroise, ma questo lavoro era particolarmente incline alle sue corde e (per nostra fortuna) accettò! La Fontaine, con le sue favole, può essere considerato l’erede di Esopo e Fedro: gli animali, protagonisti delle storie, hanno atteggiamenti umani e nascondono sempre, dietro le loro azioni, una lezione per noi. Si può dire che all’interno dei temi trattati nelle favole: amore, morte, amicizia, si celi, in realtà, qualcosa di poco animale e molto umano, l’accettazione della nostra natura con tutti i suoi contrasti e limiti. Gli animali di Chagall sono anch’essi degli uomini in pelliccia, piume, squame. Le espressioni hanno molto dell’uomo, i colori invece sono quelli accesi e brillanti della sua arte: conigli viola, asini blu, lupi gialli. Animali che allora non hanno incontrato il favore della critica perché non convenzionali e che, oggi, non possono che apparirci azzeccatissimi, considerato che ogni tela di Chagall sembra essere stata dipinta proprio per illustrare una fiaba.

Salvador Dalì e Alice nel Paese delle Meraviglie

Nel 1969, una casa editrice un po’ particolare, la Random House, che si occupava di ristampe di classici e della pubblicazione di libri a caso (random, appunto) chiese a Salvador Dalì di illustrare un classico. E quale se non il più assurdo e surreale di tutti? Ma certo, Alice nel Paese delle Meraviglie! Un racconto che sembrerebbe uscito dal pennello del pittore spagnolo, se non sapessimo che è stato scritto da Lewis Carroll nel 1865. La peculiarità del romanzo di genere nonsenso è che, essendo ricco di giochi di parole, ogni traduzione è una versione a sé perché contiene il personale apporto del traduttore. Eppure, per quanto particolare, chi lo avrebbe detto che Alice sarebbe entrata nella tana del coniglio bianco e nella storia dell’arte, con una sola caduta! Dalì realizzò 12 illustrazioni a guazzo, una per ogni capitolo, più frontespizio e copertina del libro. La tiratura fu di 2.500 copie, numerate e firmate dall’artista, ognuna di esse venduta al prezzo di 375 dollari.

Bruno Munari e Capuccetto Verde, Giallo e Bianco

Tutti quanti conosciamo la favola di Cappuccetto Rosso che ci hanno raccontato più e più volte da bambini. Ebbene, a Bruno Munari il colore rosso aveva stancato, così nel 1972 decise di rifare il guardaroba alla nostra Cappuccetto! La vestì di verde prato, giallo (non limone, né zucca, un giallo con riflessi di un altro giallo) e bianco. Non era solo una questione di pantone a infastidire il nostro artista, c’era qualcosa della trama che non lo convinceva proprio, così decise di riscriverla: immaginò tre storie semi-nuove con tre Cappuccetto vestite di tre colori diversi. Le basi della storia c’erano ancora: lei, la nonna, il lupo, ma Bruno decise di inserire all’interno della storia un aiutante diverso dal cacciatore per la bambina, un animaletto che si abbinasse meglio al copricapo. Cappuccetto Verde ha un berrettino di foglie e, attraversa il bosco con il suo cestino (intrecciato con rami verdi) che contiene solo cose che fanno pendant: una bottiglia di menta, del prezzemolo, dell’insalata, un pacchettino di carta verde a disegni verdi, con dentro del tè alla menta. Cappuccetto Giallo vive in città, deve attraversare il traffico per arrivare dalla nonna e portarle un panierino di plastica gialla con dei limoni, dei pompelmi e una bottiglia di olio del Garda, evitando il lupo in agguato che è un automobilista. Infine, l’ultima versione della favola ci regala il Munari più amato (forse da noi adulti, più che dai bambini), minimal, essenziale. Cappuccetto Bianco cammina in mezzo alla neve e non si vede nulla, neanche il lupo (bianco) che ulula perché ha fatto indigestione di nonne e, adesso, può mangiare solo riso in bianco. Al lettore sono visibili solo i testi (perché non si vede niente), il libro è tutto bianco. Ad eccezione di una pagina dove si intravedono gli occhietti di Cappuccetto che scruta in mezzo a tanto candore.

Andy Warhol e 25 Cats Name Sam and One Blue Pussy

Negli anni Cinquanta, quando ancora Andy Warhol non era famoso, lavorava come illustratore freelance di libri per bambini per la casa editrice Doubleday. Non se la passava molto bene a livello economico. E così la sua mamma, Julia, preoccupata per lui, prese un bus e si trasferì nel suo appartamento di New York, che, si vocifera, fosse nella East 75th Street. I due inquilini convivevano in quella piccola casa con ben 25 gatti, e, cosa completamente folle di questa storia, tutti quanti li avevano chiamati Sam! Solo il ventiseiesimo aveva un nome diverso, Hester, il preferito di Julia. Siccome in questa storia non c’è niente di ordinario, a un certo punto Andy e sua madre decisero, ovviamente, di realizzare un libro illustrato che rappresentasse tutti questi 25 gatti di nome Sam e, il caso isolato, Hester. Ho già detto che la storia è parecchio strana, vero? Nel libro, contrariamente al titolo 25 Cats Name Sam and One Blue Pussy, appaiono solo 16 gatti. I disegni dei felini furono realizzati con gli acquarelli da Warhol, in colori molto vivaci, anticipatori della sua Pop Art e i testi furono scritti a mano da Julia, che, dimenticò la d di named nel titolo, ma, che ve lo dico a fare, Andy decise di mantenerlo esattamente così.

Libri

Letture virali (vietate agli ipocondriaci)

All’inizio di questa quarantena ho riletto il capitolo XXXI de I Promessi Sposi, per capirci, quando la peste arriva a Milano. Dato che vivo ormai da quattro anni nel capoluogo lombardo, non ho potuto non notare moltissime somiglianze con l’arrivo del Covid-19 in Lombardia. Siccome sono una di quelle lettrici che deve ritrovare sé stessa, le proprie sensazioni ed emozioni nei libri, ho deciso di stilare una lista di romanzi che possano farci sottolineare a matita i passaggi che sembrano, profeticamente, scritti in questo drammatico momento storico. Visto che dobbiamo rimanere tutti a casa perché non trascorrere il tempo a disposizione leggendoli? Ovviamente questo discorso vale solo se siete masochisti come me. Se non lo siete potete anche smettere di leggere ora, non vi biasimerò. Ma se lo siete anche voi, rimaniamo tutti insieme (ad almeno un metro di distanza) in attesa di una visita da uno specialista e, nel frattempo, ecco i libri che sono riuscita a raccogliere:

I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

Of course. Una storia d’amore travagliata che forse in molti hanno odiato perché imposta a scuola, può oggi diventare super attuale! Leggere per credere. La trama la conosciamo tutti ma l’arrivo della peste a Milano è incredibilmente profetico: inizialmente da parte di alcuni viene chiamata “febbre”, è sottovalutata dalle autorità, è rifiutata dalla gente come cosa veramente esistente e, di conseguenza, vi è anche il rifiuto di limitare i contatti fisici, viene cercato spasmodicamente l’untore (oggi paziente zero), vengono additati come colpevoli gli stranieri, vengono presi d’assalto i forni. Sono tutte cose negative, sì, ma forse può servire rileggerle per ricordarci di non ripeterle più. E poi siamo tutti Renzo e Lucia con questa quarantena, abbiamo un amore tormentato (per fortuna solo da una temporanea distanza e non da un signorotto psicopatico). Dategli un’altra possibilità!

Decameron di Giovanni Boccaccio

Un altro classicone della scuola che merita attenzione. Una quarantena senza Netflix come può essere affrontata? Film e serie tv si inventano, si immaginano. Sette donne e tre uomini fuggono da Firenze e si rifugiano in una casa in campagna per sfuggire alla peste nera; qui si raccontano delle storie per far passare il tempo più in fretta. Sono ben cento novelle che i ragazzi inventano secondo delle regole precise, decidendo un tema. I personaggi trascorrono dieci giorni chiusi in casa a pregare e raccontarsi storie. No, non mi riferisco alle storie su Instagram con la pizza il sabato sera. Non c’erano balletti sui balconi, niente meme sulla Pimpa, niente sospiri delle bimbe davanti alle dirette di Conte! Ce l’hanno fatta nel 1348 con molta meno ironia, ce la faremo anche noi! Consigliato!

Fiaba di Johann Wolfgang von Goethe

Questo non lo avete studiato a scuola e, forse, non è facilissimo da trovare, in questo momento in cui hanno precedenza gli acquisti di prima necessità. Inoltre, non racconta di una malattia ma è in tema con l’hastag più utilizzato negli ultimi giorni: #iorestoacasa. È stato accostato al Decameron perché le dinamiche sono simili: una famiglia di profughi tedeschi, in fuga dall’esercito napoleonico, inganna il tempo raccontandosi delle storie. La più famosa, spesso estrapolata dalla raccolta e pubblicata singolarmente per distinzione di stile, dà il nome al volume in Italia e rappresenta un unicum nella produzione di Goethe perché è un racconto completamente fantasy. Vi immaginate il papà di Werther e di Ottilia che narra una storia con giganti e fuochi fatui? No? E allora che aspettate a ricredervi leggendolo?

Cecità di Josè Saramago

Le ho viste le classifiche dei libri più venduti su Amazon, Cecità è sempre al primo posto in questo periodo. Molto bene, sono contenta che in quarantena vi faccia compagnia uno dei miei scrittori preferiti! Un po’ meno contenta delle sue doti spaventose di veggente. Il romanzo ha inizio con un automobilista fermo al semaforo che diventa improvvisamente cieco, di una cecità che gli fa apparire tutto bianco. Di lì a poco la malattia si espande (scusate se sono pessima) a vista d’occhio, in questa città mai nominata dall’autore, diventando epidemia. La cura non si trova e i malati, che aumentano sempre più, vengono messi in isolamento all’interno di un manicomio. Da quel momento è il caos. Consigliato, per le citazioni profondissime che fanno buchi all’anima, e per prendere consapevolezza del fatto che i numeri che stiamo vedendo in questi giorni non devono apparirci solo come numeri, ma come persone.

è una vecchia abitudine degli uomini passare accanto ai morti e non vederli.

La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe

Un altro mio amore adolescenziale che dovete assolutamente riprendere in mano! A una delle ultime lezioni frontali di revisione della traduzione, abbiamo analizzato La maschera della morte rossa. Il racconto è ambientato durante una terribile pestilenza, all’interno di un lembo di terra che in breve tempo si spopola a causa delle continue morti. In questo paese regna il principe Prospero, un giovane che non sembra comprendere pienamente l’emergenza e che decide di chiudersi in isolamento nel suo palazzo, in compagnia dei suoi amici. Mentre l’epidemia dilaga fuori dal castello lui continua a dare cene, ma, una sera, a un ballo da lui indetto, tra gli invitati c’è un ospite misterioso che indossa una maschera che rappresenta il volto di un cadavere insanguinato. Di chi si tratta? Vi dico sinceramente che, mentre lo rileggevo, a distanza di molti anni, non sono riuscita a non pensare a tutti quei giovani che, avvalendosi della loro età, credendosi invincibili e immuni a ogni malattia, hanno continuato ad andare a ballare, non curandosi minimamente dei più deboli. Da leggere, per capire che abbiamo una responsabilità nei confronti degli altri e che non siamo immortali.

L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez

Un altro dei miei scrittori preferiti! Altra malattia, altro amore tormentato. Vi auguro, sinceramente, di trovare qualcuno che vi ami come Florentino Ariza ha amato Fermina Daza: in maniera costante e decisa per più di cinquant’anni. Facendo ogni cosa possibile per avvicinarsi a lei e conquistare la sua fiducia, senza arrendersi ai suoi titubanti rifiuti. Da leggere, per sentirci fortunati di essere lontani dalla nostra dolce metà solo per un mese o poco più e non per

cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese.

L’ultimo degli uomini di Margaret Atwood

Una lettura che i più complottisti di voi non dovranno perdersi in maniera assoluta! Jimmy, detto anche Uomo delle nevi, è l’unica persona rimasta in vita, in un mondo che ha subito gli effetti devastanti di una pandemia. Non è totalmente solo, una tribù di mutanti, esseri molto semplici e di indole pacifica, gli fa compagnia. Ma come si è ridotta la Terra così? Perché è l’ultimo degli uomini? Tutto ci verrà svelato attraverso i suoi flashback all’interno del racconto. Da leggere se siete affascinati dal mistero e dal genere apocalittico…o se avete condiviso il video di Tgr Leonardo, in cui nel 2015, in un laboratorio cinese, si filmava un documentario sulla segretissima creazione del coronavirus!

Nemesi di Philip Roth

Siamo nell’estate del 1944 e il ventitreenne Bucky Cantor è l’istruttore atletico dei bambini del quartiere ebraico di Newark. Ha scampato il fronte per un difetto di vista ma, a un certo punto, si ritrova comunque a combattere una delle guerre più ingiuste: un’epidemia di poliomielite. Ingiusta perché colpisce tutti, indistintamente, e sembra concentrarsi soprattutto sugli innocenti: i bambini che allena vengono infettati. Il protagonista ha una progressiva discesa nel baratro e comincia a dubitare di qualsiasi cosa: dall’esistenza di Dio, fino a domandarsi se sia lui, malato di polio a sua volta, il responsabile del contagio dei suoi ragazzi. Da leggere per mettersi nei panni dei pazienti zero, uno, numero X, inconsapevoli di essere tali, per capire quanto dolore possa esserci nei pensieri di qualcuno che viene additato (dagli altri o da sé stesso) come possibile responsabile di un’epidemia.

La peste di Albert Camus

Che siamo tutti un po’ masochisti e, oltre che spaventati da questo virus sconosciuto, un po’ (passatemi il termine) affascinati dalla strana, inquietante e inusuale pagina di storia che stiamo scrivendo rimanendo a casa, si evince anche dal fatto che La peste di Camus è uno dei libri più richiesti online. Nella biblioteca civica multimediale di Torino lo hanno ordinato ben cento lettori, dall’inizio della quarantena. In verità, qui, la malattia è utilizzata come metafora ma, di fatto, è il racconto di un’epidemia, se non si vanno a cercare altri significati. Il romanzo è ambientato nella città di Orano e comincia con il ritrovamento di un topo morto, poi due, poi tre, poi viene rinvenuto senza vita l’uomo che aveva fatto il ritrovamento del primo roditore, il portiere, e di lì a poco è epidemia. Da leggere perché, in questo momento, siamo tutti gli abitanti di Orano, costretti all’isolamento tra alti e bassi di rifiuto, noia, paura e speranza.