Edizioni degne di nota, Libri, Scrittori

Il pettirosso del giardino segreto esisteva davvero

Sono sparita per quasi un anno e ne sono consapevole. Se con la lettura la cosa è stata più lieve, ammetto che lavorare ogni giorno con la scrittura è riuscito a scrollarmi di dosso molta della voglia che avevo di scrivere “per piacere”. Non voglio annoiarvi con i mille cambiamenti che ha subìto la mia vita in un anno e quindi sarò breve: sono felice. Vivo in un monolocale vicino al mare (riesco anche a vederne un piccolo rettangolo dal mio balconcino fiorito); sono ufficialmente un’editor freelance che ha le sue soddisfazioni, ma collaboro stabilmente con una piccola casa editrice che ha un debole per il mare come me; amo e sono amata; scrivo cose creative che però mi tengono per lungo tempo lontana da qui. Ma adesso parliamo di libri, che questo blog è nato in primo luogo per i miei amori editoriali, non dimentichiamolo.

Ho letto Il giardino segreto parecchio in ritardo. Si tratta di un romanzo per ragazzi che in molti leggono da bambini, o gli viene letto dai genitori. Casa mia straripa di libri ma probabilmente questo manca o non ha mai attirato la mia attenzione da bambina. Lo ha fatto però in un momento in cui mi sentivo molto piccola e cioè nel 2020, quando probabilmente tutti ci siamo sentiti più indifesi, più vulnerabili, più bambini. In quel periodo la mia voglia di rivedere la mia famiglia, casa mia (e il giardino di casa mia) era fortissima. Come molti, sentirmi in trappola, inscatolata in una stanza singola al primo piano di un appartamento milanese mi stava facendo impazzire. In più a primavera, la mia stagione preferita! Il mio letto è stato letteralmente circondato di piante (ben quindici), io stessa mi sono trasformata in pianta, con un bisogno psicofisico di mettermi al sole dalle due alle tre ore al giorno. In quel momento è arriva la mia copia de Il giardino segreto, un giardino in formato tascabile, un prato schizzato di macchie di colore in cui potevo andare senza violare il DPCM del momento.

La mia lettura già fertile di immagini mentali brillanti è stata arricchita dalle illustrazione di una delle edizioni magiche di Ippocampo in collaborazione con MinaLima, di cui vi avevo già parlato. Ma perché ve lo sto raccontando adesso che sono libera di vagare in giardini percepibili sotto i piedi e alle narici? Perché ho scoperto una piccola casa editrice di cui mi sono innamorata e voglio parlare con voi di un suo libro.

La casa editrice è la Caravaggio Editore e come potrei non amarla già solo per il nome? Ha una collana che si chiama Classici ritrovati, e una signorina dell’Ottocento come me capitola per forza davanti a un nome che richiama l’arte e a dei classici che ancora deve scoprire. Il libro di cui vi parlo oggi però è della collana Frammenti d’autore e si chiama Il mio pettirosso. Si tratta di un racconto dell’autrice de Il giardino segreto, Frances Hodgson Burnett. Il libro è un piccolo gioiellino editoriale. La copertina è meravigliosa, il frontespizio decorato a motivi fitomorfi, la carta delle pagine abbastanza spessa e ruvida al tatto e ogni piè di pagina è finemente ornato.

Forse non lo sapete, o forse ci siete già arrivati da soli visto che ci ha scritto un intero libro, ma la Burnett amava molto le piante e i giardini. Ovunque andasse dedicava anima e corpo al giardinaggio e a un certo punto della sua vita ha piantato ben 762 cespugli di rose, la sua pianta preferita in assoluto. Il ritrovamento di un’antica chiave che dava accesso a un giardino bellissimo, come narrato nel suo celebre romanzo, è avvenuto davvero nella sua residenza a Great Mytham Hall e il pettirosso citato ne Il giardino segreto è esistito veramente. L’autrice ha fatto la sua conoscenza mentre scriveva e tra i due si è creato un fortissimo legame. Il pettirosso le veniva vicino mentre lavorava e trascorrevano insieme intere giornate. L’autrice si era legata talmente tanto al piccolo esserino alato che era convinta che si appartenessero e nel racconto lo definisce a tutti gli effetti “una persona”.

Sarà che amo gli animali, sarà che amo i giardini, o sarà che vivo con un pappagallino che mi mangiucchia i fogli su cui scrivo e che di rosso ha le guance. Sarà che anche io lo considero “una persona”, un componente della mia famiglia. Ma questo breve racconto di appena 55 pagine mi ha commossa come pochi libri sono riusciti ultimamente a fare. Per questo, per tornare a parlarvi di libri ho deciso di raccontarvi di questa recente scoperta, di questo piccolo frammento di intimità di Frances Hodgson Burnett che sento anche un po’ mia.

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Libri

Ludmilla e Tereza, due lettrici come noi

In questo momento sto leggendo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino e, quando vado in palestra, ascolto l’audiolibro de L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Sì, lo so, sono matta a non ascoltare musica durante una sessione di allenamento ma sono stata rapita dalla storia e per ora unisco l’utile (40 minuti di cyclette) al dilettevole (una voce che mi legge un libro). Ho provato anche a portarmi il volume in palestra ma mi guardavano tutti come se venissi da un altro pianeta e, nonostante di solito essere considerata diversa mi lusinghi, in un certo senso, sentirmi osservata mentre sono vulnerabile, sudata, coi capelli legati, struccata e con la maglia sformata di Friends non è esattamente di mio gradimento. L’audiolibro, invece, è più discreto. Agli occhi degli altri sei invisibile, esattamente come tutti: una ragazza che si allena in palestra con un po’ di musica.

Mi reputo fortunata. Sono entrambi libri bellissimi, di quelli che non dimentichi facilmente e non è una cosa che capita spesso. Ci sono libri discreti, piacevoli, che leggerli è gradevole. Ci sono libri che non incontrano minimamente i nostri gusti e che siamo indecisi se lasciare a metà o, spinti dal dovere, non abbandonarli fino all’ultima pagina ma, diciamocelo, a fatica. E poi ci sono libri magnifici, che in ogni frase contengono un segreto o qualcosa che abbiamo sempre pensato anche noi ma non abbiamo mai saputo esprimere così bene come l’autore. Io ho scelto due libri ed ho avuto la fortuna che entrambi fossero splendidi. Sì, ok, direte voi, ma parliamo di Calvino e Kundera mica di “un mattone polacco, minimalista di scrittore morto suicida giovanissimo, copie vendute: 2” (cit). Avete ragione anche voi ma i gusti sono gusti e potevano pure non incontrare i miei. Inoltre, mi piace pensare che mi siano capitati perché meritavo non una ma ben due cose belle.

Un’altra caratteristica che hanno in comune i due libri scelti è che contengono la figura della lettrice che in Calvino è fondamentalmente il tema principale del romanzo e risiede nella figura di Ludmilla, e in Kundera è accennata, tra le varie caratteristiche di Tereza. Entrambe le descrizioni, mentre leggevo, le ho calzate alla perfezione, come un abito della mia misura e sono sicura che moltissime lettrici si troveranno altrettanto a loro agio in questi confortevoli panni.

Il suo stato di estraneo lo elevava al di sopra degli altri. E qualcos’altro lo elevava: teneva sul tavolo un libro aperto. In quel bar nessuno aveva mai aperto un libro sul tavolo. Un libro era per Tereza il segno di riconoscimento di una fratellanza segreta. Contro il mondo della volgarità che la circondava, essa aveva infatti un’unica difesa: i libri che prendeva in prestito alla biblioteca comunale; soprattutto i romanzi: ne aveva letti un’infinità, da Fielding a Thomas Mann. Le offrivano la possibilità di una fuga immaginaria da quella vita che non le dava alcuna soddisfazione, ma avevano significato per lei anche in quanto oggetti: le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio. Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso. La distinguevano dagli altri. (Il paragone tra il libro e il bastone da passeggio del dandy non è del tutto preciso. Il bastone non serviva soltanto a distinguere il dandy, lo rendeva anche moderno e alla moda. Il libro distingueva Tereza, ma la rendeva antiquata. Naturalmente, lei era troppo giovane per potersi accorgere della sua aria antiquata. I giovani che le passavano accanto con le loro rumorose radioline le sembravano stupidi. Non si accorgeva che erano moderni). L’uomo che le rivolse la parola era quindi, allo stesso tempo, un estraneo e il membro di una confraternita segreta. Le parlò con voce gentile e Tereza sentì la propria anima precipitarsi alla superficie attraverso tutte le vene, tutti i capillari e tutti i pori, per mostrarsi a lui.

A me piace leggere, leggere davvero… – È Ludmilla che parla così, con convinzione e calore. È seduta di fronte al professore, vestita in modo semplice ed elegante, di colori chiari. Il suo modo di stare al mondo, piena d’interesse per ciò che il mondo può darle, allontana l’abisso egocentrico del romanzo suicida che finisce per sprofondare dentro se stesso. Nella sua voce, cerchi la conferma del tuo bisogno d’attaccarti alle cose che ci sono, di leggere quel che c’è scritto e basta, allontanando i fantasmi che sfuggon tra le mani. (…) Ma Ludmilla è sempre d’un passo almeno più avanti di te. – Mi piace sapere che esistono libri che potrò ancora leggere…- dice sicura che alla forza del suo desiderio devono corrispondere oggetti esistenti, concreti, anche se sconosciuti. Come potrai tenerle dietro, a questa donna che legge sempre un altro libro, in più di quello che ha sotto gli occhi, un libro che non c’è ancora ma che, dato che lei lo vuole, non potrà non esserci?

Che ne pensate? Voi conoscete altri libri in cui la figura della lettrice (o del lettore) è descritta in maniera così calzante?

Tutte le illustrazioni del post sono opera della splendida Henn Kim.