Scrittori

Lettera a Diane Nguyen

Cara Diane, questo è un blog che tratta di scrittura, di libri, di editoria, di arte al massimo e così ti chiederai perché una lettera a te, personaggio di una serie tv. Ti scrivo questa lettera anche se non sei reale perché durante la mia quarantena la tua storia è stata tra le cose più reali con cui ho avuto a che fare. Ti scrivo questa lettera anche se sei un personaggio di una (la) serie tv perché abbiamo delle cose in comune e in fin dei conti sei una scrittrice, non andiamo troppo off topic, no? Ti scrivo questa lettera perché penso, sinceramente, di averne bisogno.

Ho seguito la tua storia dall’inizio: un’affascinante ghostwriter, intelligente, acculturata, femminista che deve scrivere le memorie di una star ormai in declino; come poteva BoJack non innamorarsi di te? Diciamocelo, ho tifato per voi da subito. Il perché non lo so, non conoscevo ancora bene BoJack, non mi aveva ancora ferita, cosa che poi ha fatto innumerevoli volte. Credevo che tu avresti potuto non cambiarlo, perché non bisogna cambiare qualcuno, ma portare alla luce la sua parte migliore. Purtroppo, non so perché, abbiamo quest’eterna idea sbagliata di dover aiutare le persone che amiamo a eliminare i mostri che abitano la loro mente e che solo loro possono sconfiggere. Ma tu avevi una persona più importante da salvare: te stessa. Oggi posso dire che non cambierei una virgola della serie.

Odiavo Mr. Peanutbutter, non capivo come un personaggio dall’indole così superficiale potesse stare con te ma ho compreso anche quello: per persone come noi, che sono pesanti come macigni per i numerosi fardelli che si portano dentro, la leggerezza è attraente come lo è la luce per le falene. C’è una scena della fine della vostra relazione che apre la tua nuova fase coi capelli corti (che figa) che mi fa scendere una lacrima ogni volta che ci inciampo:

La vera ragione per andare in Vietnam è perché vedi per caso il tuo futuro ex-marito che bacia un’altra. All’inizio pensi: oh, è una qualsiasi. Sono ubriachi, è una festa. Ma poi lui la stringe con la mano esattamente come faceva con te. Vuol dire: ti proteggo e quando lui lo faceva con te ti faceva sentire sicura. E ti rendi conto che lui non lo farà mai più. E questo ti spezza il cuore, dopo che il cuore ti era stato spezzato tante volte e credevi non potesse mai più spezzarsi. Pensavi fosse al sicuro, invece trova ancora un nuovo modo per spezzarsi.

La vera ragione di un cambiamento radicale nella vita di una donna è quasi sempre una delusione sentimentale. Magari non lo ammetteremo mai ma è così. Chissà quante altre donne devono essersi immedesimate in questa scena, quante di noi si sono riviste in quel mascara che cola in amarissime lacrime nere. Quante di noi si sono viste sostituite all’improvviso da un’altra donna. Quante di noi erano sicure di aver imparato la lezione, di essere diventate più forti e invece erano ancora e saranno sempre vulnerabili alle emozioni. Perché, diciamocelo chiaramente, la gente che dice che è la vita ad averla resa stronza mente: è sempre stata stronza. E non c’è niente da fare, se l’empatia è un ingrediente del tuo DNA non lo diventerai mai stronza, collezionerai solo una quantità infinita di cicatrici invisibili.

La tua prima fase di depressione, quando ti vergogni di tornare da Mr. Peanutbtutter, dopo l’esperienza di reporter in una realtà straniante come quella della guerra, mi ha fatto ripensare alla me di qualche anno fa. Le schifezze restano ancora oggi le mie più grandi amiche quando sono triste. Patatine e cioccolato sono importanti quanto le amicizie in carne ed ossa nei momenti di crisi, ma credo che questo sia un punto comune di tutta l’umanità. Però il disordine che riesci a creare a casa di BoJack, quando ti trasferisci da lui, mi ha ricordato che anche io faccio così. Diciamo che gli anni di convivenza con altre persone mi hanno migliorata, adesso non semino al mio passaggio abiti e libri in perfetto stile Hansel e Gretel per ritrovare me stessa; di base, anzi, sono piuttosto ordinata. Ma quando ancora vivevo a casa con i miei, ogni volta che qualcosa mi scuoteva a livello psicologico, scaricavo intorno a me tutto il caos che avevo dentro. Era più forte di me, tutto quell’ordine all’esterno quando io mi sentivo completamente in disordine all’interno, mi infastidiva da matti! Così in casa c’erano scenette di questo tipo: mio fratello bussava alla porta di camera mia e quando questa, cigolando, si apriva con difficoltà esordiva sempre con un “Ne vuoi parlare?”

Sei stata chiusa in quella bolla di oggetti alla rinfusa e cibo spazzatura per tutta la seconda stagione. Costantemente spettinata, con un unico outfit (il pigiama), un fusorario del sonno completamente sballato e senza un filo di trucco. Dillo che avevi pure tu la sindrome della capanna. Per quanto quelle quattro mura che ti eri costruita con pile di abiti sporchi e lattine non fossero il massimo, affrontare il mondo esterno, quello che avevi dovuto vedere nella sua veste peggiore, la cruda realtà era molto peggio. Non sai quanto possa capirti adesso, non sai in quanti possano comprenderti in questo momento.

Ma è la tua ultima fase, quella in cui provi a scrivere la tua autobiografia che mi ha fatto capire quanto io e te ci somigliamo. A un certo punto di questa quarantena mi sono sentita rotta. Non riesco a trovare un termine migliore di questo. Non è bello, lo so. Ma è così che mi sono sentita. A un certo punto avverti che ti si rompe qualcosa dentro, un guasto idraulico probabilmente perché cominci a piangere per ogni singola cosa; ma non solo, compiere le azioni più semplici diventa improvvisamente difficile. Nella puntata 06×10 ti rompi anche tu. Hai un blocco e non riesci più a fare la cosa che ti viene più naturale al mondo: scrivere. Un piccolo blocco dello scrittore l’ho avuto anche io. Non sono una scrittrice, ma scrivere è una cosa che mi riesce abbastanza bene, mi piace da quando ho imparato a farlo e sa essere per me uno sfogo come poche attività riescono ad esserlo. Ho dovuto, in questa stranissima fase, scrivere un saggio per un libro che dobbiamo pubblicare alla fine del master che sto seguendo e mai nulla è stato più difficile. Ancora oggi che è bello che finito non sono per nulla soddisfatta. Il fatto che parlasse di Sepulveda (che è morto mentre ne stavo scrivendo) mi ha fatta sentire ingiustamente in colpa. Se avessi potuto consegnare al mio professore 4 paginette di “I am terrible” lo avrei fatto. Ho quattro articoli, qui sul blog, scritti a metà nel mese di Aprile, che probabilmente non completerò mai e non sono neanche totalmente certa del fatto che pubblicherò questo post.

Questo guasto all’interno della serie tv è spiegato con la metafora di un’insalatiera che finisce in cocci. C’è un modo per assemblare i pezzi, la tecnica giapponese del Kintsugi ripara gli oggetti con una colata d’oro nelle crepe e questi diventano più preziosi e belli di prima. Così anche le nostre ferite emotive, i nostri traumi possono guarire, diventando motivo di crescita e non necessariamente qualcosa di eternamente negativo. Da quando ti rompi essere una bella insalatiera diventa la tua ossessione. Cerchi un colpevole per tutti quei graffi al cuore, per quella tristezza che ti fagocita: incolpi la tua famiglia, i tuoi amici, gli amori passati. In alcune frasi che continuano a urlarti i personaggi che si avvicendano nei tuoi pensieri mi sono ritrovata perfettamente.

Il tuo trauma non è interessante, non meriti amore.

Perché all’inizio sei affascinante ma alla fine mica tanto.

Sono parole che mi hanno colpita come uno schiaffo in faccia. E sai perché? Perché ho creduto che la gente pensasse questo di me più di una volta. Ma è molto più probabile che siamo noi stesse a pensarlo. Noi persone sensibili possiamo diventare malinconiche per una parola sbagliata di qualcuno a cui teniamo, per una giornata di pioggia, per un’immagine che non volevamo vedere, per una frase che non dovevamo leggere. La malinconia è una nostra caratteristica, fa parte di noi e non possiamo scacciarla del tutto, dobbiamo però evitare assolutamente che questa prenda il sopravvento e diventi una tristezza insostenibile. Ha ragione Princess Carolyn quando dice che sei tu a voler essere triste, che sei tu stessa il tuo male e io so che posso essere il mio. Quindi, che ne dici se invece di cercare nel comportamento sbagliato degli altri i motivi della nostra sofferenza non accettiamo che è soprattutto un nostro modo di essere e ammettiamo che siamo delle belle insalatiere, anche se scomposte?