Arte

Il primo astrattista della storia dell’arte è una donna: Hilma af Klint

Ma cosa devono leggere i vostri occhi? Il pioniere dell’astrattismo è Vasilij Kandinskij! Lo sanno tutti quelli che hanno studiato un minimo di storia dell’arte. E invece no, cari lettori. In realtà è stata Hilma af Klint la prima artista a realizzare un’opera astratta nel 1906. Esattamente. Ben quattro anni prima del famoso acquerello astratto di Kandinskij. Ma non voglio mica darvi degli ignoranti con questo post, personalmente ho studiato arte per cinque anni all’università e non ne avevo mai sentito parlare fino a qualche giorno fa. Perché? Perché questa artista non compare in nessun libro di storia dell’arte ed è rimasta sconosciuta per moltissimo tempo. Questa volta, però, non è colpa del sessismo, è stata la volontà dell’artista. Hilma ha nascosto le sue opere astratte per tutta la vita e, all’interno del testamento, ha espresso il desiderio di non renderle pubbliche per la bellezza di vent’anni dalla sua data di morte. Una Vivian Maier della pittura, insomma. Un giorno si è svegliata e ha deciso bene che dovevo scoprire all’età di (quasi) trent’anni che la mia vita è una bugia. Io ho avuto voglia di recuperare cercando qualche informazione. Va anche a voi di scoprire qualcosa in più?

Dalla mostra Hilma af Klint. A pioneer of Abstraction. Kumu Art Museum, Tallinn (13.03-07.06.2015) | exhibition view (photo: Alessia Scuderi)

Hilma nasce in una ricca famiglia svedese e ha la fortuna di rincorrere i suoi sogni. Studia inizialmente all’Istituto tecnico di Stoccolma e poi, a vent’anni, viene ammessa alla Royal Academy of Fine Arts; qui si laurea col massimo dei voti, vincendo anche una borsa di studio. Negli anni accademici sviluppa un forte interesse per la botanica e la natura in generale e le uniche opere che espone sono proprio quelle con soggetti paesaggistici e naturalistici. Un evento, però, cambia radicalmente la sua vita, il suo pensiero e il soggetto principale dei suoi dipinti: nel 1880 muore tragicamente sua sorella minore, Herminia ed è così che Hilma comincia a interessarsi anche alla dimensione spirituale.

Dalla mostra Hilma af Klint. A pioneer of Abstraction. Kumu Art Museum, Tallinn (13.03-07.06.2015) | exhibition view (photo: Alessia Scuderi)

Nel 1896, con altre quattro artiste donne, fonda Le Cinque, un gruppo che si riunisce per una diversa interpretazione del Nuovo Testamento, fare meditazione, pregare e tentare delle sedute spiritiche. Ed è attraverso questo lavoro preliminare con Le Cinque che già nel 1896 Hilma sviluppa un tipo di disegno sperimentale, detto automatico (perché dettato dai frutti della meditazione), che la avvicina alla geometrizzazione delle forme e, progressivamente, all’astrattismo di cui sarà l’inconsapevole pioniera. Per le sue sperimentazioni, al contrario degli astrattisti più conosciuti, Hilma utilizza delle tele molto grandi, anche due metri per tre, che fissa per terra (come Pollock) e sui cui lavora energicamente, alla faccia del suo metro e cinquanta di altezza.

Dalla mostra Hilma af Klint. A pioneer of Abstraction. Kumu Art Museum, Tallinn (13.03-07.06.2015) | 1907, The Ten Largest (No.6) Adulthood (photo: Alessia Scuderi)

La serie di opere più importante dell’artista è senza dubbio Dipinti per il tempio, 193 quadri astratti realizzati per decorare un’architettura composta da cerchi concentrici mai realizzata e di cui lei stessa ignora il significato; ma soprattutto commissionata da un mecenate che è un’entità spirituale, Amaliel. Ogni tela è carica di simboli: i colori rappresentano nel giallo il maschile e nel blu il femminile, la lettera u simboleggia lo spirito e la w il materiale; ogni dipinto è collegato all’altro da una rete di rimandi che ne fanno un’unica grande opera.

Dalla mostra Hilma af Klint. A pioneer of Abstraction. Kumu Art Museum, Tallinn (13.03-07.06.2015) | exhibition view (photo: Alessia Scuderi)

Convinta che la sua arte non verrà capita per i vent’anni successivi alla sua morte, lascia la sua intera produzione (di 1200 dipinti e 125 taccuini) al nipote, con la raccomandazione di non aprire le scatole che la contengono. Quando alla fine degli anni Sessanta l’eredità rivela il suo contenuto, le opere di Hilma vengono donate al Moderna Museet di Stoccolma che però le rifiuta. Solo nel 1986 si comincia a comprendere il valore della sua arte che viene finalmente esposta a una mostra tenutasi a Los Angeles. Ancora oggi persiste per Hilma af Klint un amore e odio: è stata esposta nel padiglione centrale della Biennale di Venezia del 2013 ma rifiutata dal catalogo del MoMa di New York. Recentemente, però, la regista Halina Dyrschka ha realizzato un docu-film sulla figura dell’artista svedese intitolato Beyond the Visible. Speriamo sia la volta buona che tutti vengano a conoscenza della sua arte e che la comprendano.

Nell’immagine d’intestazione: Dalla mostra Hilma af Klint. A pioneer of Abstraction. Kumu Art Museum, Tallinn (13.03-07.06.2015) | 1915, The Swan (No.17) (photo: Alessia Scuderi)

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Arte

Quattro artisti che hanno illustrato libri per bambini

Ultimamente abbiamo bisogno, più del solito, di bellezza. Un po’ per le lezioni che sto seguendo, che si stanno concentrando sull’editoria per ragazzi, un po’ per i miei studi artistici alla base, oggi voglio scrivere di illustrazione. Ma non di illustrazione contemporanea, pur essendo assolutamente degna di nota, di un’illustrazione particolare firmata da grandi nomi, non subito collegati dal nostro cervello all’illustrazione.

Marc Chagall e le favole di La Fontaine

Era il 1926 e l’editore Ambroise Vollard, nonché mercante d’arte di autori del calibro di Van Gogh, Picasso e Cézanne, chiese a Marc Chagall di illustrare le favole di La Fontaine. In verità, Marc aveva già illustrato Le anime morte di Gogol, tre anni prima, sempre su commissione di Ambroise, ma questo lavoro era particolarmente incline alle sue corde e (per nostra fortuna) accettò! La Fontaine, con le sue favole, può essere considerato l’erede di Esopo e Fedro: gli animali, protagonisti delle storie, hanno atteggiamenti umani e nascondono sempre, dietro le loro azioni, una lezione per noi. Si può dire che all’interno dei temi trattati nelle favole: amore, morte, amicizia, si celi, in realtà, qualcosa di poco animale e molto umano, l’accettazione della nostra natura con tutti i suoi contrasti e limiti. Gli animali di Chagall sono anch’essi degli uomini in pelliccia, piume, squame. Le espressioni hanno molto dell’uomo, i colori invece sono quelli accesi e brillanti della sua arte: conigli viola, asini blu, lupi gialli. Animali che allora non hanno incontrato il favore della critica perché non convenzionali e che, oggi, non possono che apparirci azzeccatissimi, considerato che ogni tela di Chagall sembra essere stata dipinta proprio per illustrare una fiaba.

Salvador Dalì e Alice nel Paese delle Meraviglie

Nel 1969, una casa editrice un po’ particolare, la Random House, che si occupava di ristampe di classici e della pubblicazione di libri a caso (random, appunto) chiese a Salvador Dalì di illustrare un classico. E quale se non il più assurdo e surreale di tutti? Ma certo, Alice nel Paese delle Meraviglie! Un racconto che sembrerebbe uscito dal pennello del pittore spagnolo, se non sapessimo che è stato scritto da Lewis Carroll nel 1865. La peculiarità del romanzo di genere nonsenso è che, essendo ricco di giochi di parole, ogni traduzione è una versione a sé perché contiene il personale apporto del traduttore. Eppure, per quanto particolare, chi lo avrebbe detto che Alice sarebbe entrata nella tana del coniglio bianco e nella storia dell’arte, con una sola caduta! Dalì realizzò 12 illustrazioni a guazzo, una per ogni capitolo, più frontespizio e copertina del libro. La tiratura fu di 2.500 copie, numerate e firmate dall’artista, ognuna di esse venduta al prezzo di 375 dollari.

Bruno Munari e Capuccetto Verde, Giallo e Bianco

Tutti quanti conosciamo la favola di Cappuccetto Rosso che ci hanno raccontato più e più volte da bambini. Ebbene, a Bruno Munari il colore rosso aveva stancato, così nel 1972 decise di rifare il guardaroba alla nostra Cappuccetto! La vestì di verde prato, giallo (non limone, né zucca, un giallo con riflessi di un altro giallo) e bianco. Non era solo una questione di pantone a infastidire il nostro artista, c’era qualcosa della trama che non lo convinceva proprio, così decise di riscriverla: immaginò tre storie semi-nuove con tre Cappuccetto vestite di tre colori diversi. Le basi della storia c’erano ancora: lei, la nonna, il lupo, ma Bruno decise di inserire all’interno della storia un aiutante diverso dal cacciatore per la bambina, un animaletto che si abbinasse meglio al copricapo. Cappuccetto Verde ha un berrettino di foglie e, attraversa il bosco con il suo cestino (intrecciato con rami verdi) che contiene solo cose che fanno pendant: una bottiglia di menta, del prezzemolo, dell’insalata, un pacchettino di carta verde a disegni verdi, con dentro del tè alla menta. Cappuccetto Giallo vive in città, deve attraversare il traffico per arrivare dalla nonna e portarle un panierino di plastica gialla con dei limoni, dei pompelmi e una bottiglia di olio del Garda, evitando il lupo in agguato che è un automobilista. Infine, l’ultima versione della favola ci regala il Munari più amato (forse da noi adulti, più che dai bambini), minimal, essenziale. Cappuccetto Bianco cammina in mezzo alla neve e non si vede nulla, neanche il lupo (bianco) che ulula perché ha fatto indigestione di nonne e, adesso, può mangiare solo riso in bianco. Al lettore sono visibili solo i testi (perché non si vede niente), il libro è tutto bianco. Ad eccezione di una pagina dove si intravedono gli occhietti di Cappuccetto che scruta in mezzo a tanto candore.

Andy Warhol e 25 Cats Name Sam and One Blue Pussy

Negli anni Cinquanta, quando ancora Andy Warhol non era famoso, lavorava come illustratore freelance di libri per bambini per la casa editrice Doubleday. Non se la passava molto bene a livello economico. E così la sua mamma, Julia, preoccupata per lui, prese un bus e si trasferì nel suo appartamento di New York, che, si vocifera, fosse nella East 75th Street. I due inquilini convivevano in quella piccola casa con ben 25 gatti, e, cosa completamente folle di questa storia, tutti quanti li avevano chiamati Sam! Solo il ventiseiesimo aveva un nome diverso, Hester, il preferito di Julia. Siccome in questa storia non c’è niente di ordinario, a un certo punto Andy e sua madre decisero, ovviamente, di realizzare un libro illustrato che rappresentasse tutti questi 25 gatti di nome Sam e, il caso isolato, Hester. Ho già detto che la storia è parecchio strana, vero? Nel libro, contrariamente al titolo 25 Cats Name Sam and One Blue Pussy, appaiono solo 16 gatti. I disegni dei felini furono realizzati con gli acquarelli da Warhol, in colori molto vivaci, anticipatori della sua Pop Art e i testi furono scritti a mano da Julia, che, dimenticò la d di named nel titolo, ma, che ve lo dico a fare, Andy decise di mantenerlo esattamente così.