Silence is violence si grida nelle strade di tutto il mondo e io in silenzio non ci voglio stare. È morto un uomo, ne sono morti molti prima di lui. Ma il video dove George Floyd dice con la voce che gli rimane di non riuscire a respirare sotto gli occhi di tutti noi, chiusi in casa per la pandemia che ci ha colpito, soltanto con quello schermo come finestra per guardare fuori, ha spinto prima gli americani, poi persone di tutto il mondo ad abbandonare la comfort zone del proprio divano e a riversarsi in strada. La rabbia ha superato la paura per un virus sconosciuto e uomini con colori della pelle differenti si sono uniti per protestare contro un virus fin troppo conosciuto: il razzismo. “Quello che sta accadendo negli Stati Uniti non ci riguarda” mi dicono alcuni. “Il problema del razzismo in America è molto diverso da quello italiano.” Vero e falso. Soprattutto negli ultimi anni in Italia la gente razzista, quella che prima si vergognava di esserlo e si nascondeva, si sente legittimata ad esserlo a causa di alcuni politici che inneggiano alla xenofobia. Oggi in molti mostrano orgogliosi la loro medaglietta di odio ingiustificato verso lo straniero. Il razzismo esiste anche qui ma per fortuna riguarda solo una parte della popolazione. Riconosco, invece, che negli Stati Uniti sia un problema grave e diverso. Perché lì il razzismo è la normalità. Due anni fa, proprio in questo periodo mi trovavo in vacanza in America. Ho trascorso lì un mese e mezzo e gli episodi di razzismo all’ordine del giorno mi hanno profondamente toccata.
A New York, nella grande mela, nella città del futuro, dentro la metropolitana, sotto i miei occhi e quelli di molti altri che sono rimasti in silenzio, un uomo bianco ha minacciato di uccidere un uomo nero. Perché? Il treno aveva frenato bruscamente e per questo motivo la spalla dell’uomo di colore aveva sfiorato quella dell’altro che schifato ha dichiarato che non doveva azzardarsi a toccarlo nuovamente perché lo avrebbe ucciso. A Baltimora, dove ho alloggiato, bianchi e neri vivono divisi. Un giorno, io e la mia compagna di viaggio siamo andate in un quartiere abitato esclusivamente da persone di colore perché volevamo visitare la casa di Edgar Allan Poe. Per pranzo ci siamo fermate in un McDonald’s che all’interno aveva personale e clientela di colore. Mentre mi apprestavo a fare il mio ordine, la cassiera della fila accanto alla mia è andata via momentaneamente e una signora appartenente a quella fila ha cominciato a urlare quanto fosse assurdo che io, con il culo bianco, venissi servita prima di lei. La cassiera che mi stava servendo ha messo in sospeso il mio ordine ed è passata alla fila accanto. In America, in alcune città, bianchi e neri si odiano solo perché hanno il colore della pelle differente ed è tutto normale. Proprio per questo motivo trovo corretto che tutto il mondo protesti per quello che sta succedendo negli Stati Uniti: perché io non posso accettare, nel 2020, di vivere in un pianeta dove il colore della pelle è sintomo di discriminazione. Non si può e non si deve rimanere impassibili e neutrali.
Silence is violence e io voglio rompere questo silenzio con la parola. La parola è un’arma vera e propria. Il razzismo è frutto di ignoranza e la letteratura, l’educazione estirpano ignoranza e razzismo. Con i ragazzi del master abbiamo scritto due articoli, uno sui grandi romanzi dell’identità nera e un altro dedicato ai più piccoli, per spiegare loro il razzismo con dei libri illustrati. A me resta la poesia, non ancora citata. La poesia che cura ogni male dell’anima e spero possa curare anche questo male del mondo.
Il tema del razzismo è trattato già dall’autore latino Seneca che si pone il problema della condizione degli schiavi e scrive in una delle Lettere a Lucilio:
Vuoi tu considerare che costui, che chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme e gode dello stesso cielo e del pari respira, vive e muore! Come tu puoi vedere lui libero, così lui può vedere te schiavo.
Fino al premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo che non è rimasto in silenzio e nel 1968, in riferimento all’assassinio di Martin Luther King, ha dichiarato:
Sappiamo che alla base del razzismo c’è un complesso di ragioni finanziarie, il timore di chi possiede qualcosa davanti alla minaccia di vedersi «derubato» da altri uomini, insomma il verghiano attaccamento alla roba. Nel caso del razzismo americano o sudafricano i negri sono stati considerati la roba, oggetti che non dovevano avanzare richieste, contenti di ottenere pane e giaciglio. Ma oggi, un secolo dopo la guerra di secessione, il razzismo non è più solo una difesa economica convalidata dalle ideologie arretrate o dall’analfabetismo, è una corrente di odio, di paura, il seme della viltà e dell’isterismo che sfuggono alla volontà e all’intelligenza.
La poesia dei neri americani
Frances Harper
Frances Hellen Watkins Harper (Baltimora 1825, Philadelphia 1911), è stata una poetessa e attivista statunitense. Pubblicò il suo primo libro in versi all’età di 20 anni e si batté per i diritti delle donne, fu la prima insegnante di sesso femminile dell’Union Seminary, il suo discorso contro la schiavitù intitolato Educazione ed Elevazione della Razza Nera fu tenuto 33 volte in 21 città del New England. Sostenitrice dell’abolizionismo e del suffragio femminile, nel 1858, cento anni prima del gesto di Rosa Parks, si rifiutò di cedere il suo posto nel reparto per neri del tram e dopo questo episodio scrisse la poesia che segue.
Non seppellitemi in una terra di schiavi
Fatemi una tomba dove volete,
in una bassa pianura o sopra un’alta collina;
fatemela fra le tombe più umili sulla terra,
ma non in una terra dove gli uomini sono schiavi.
Non potrei riposare se intorno alla mia tomba
udissi i passi di uno schiavo tremante;
la sua ombra sul mio silenzioso sepolcro
lo farebbe diventare un luogo di oscuro terrore.
Non potrei riposare se udissi i passi
strascicati di un gruppo di schiavi condotti alla carneficina
e il grido selvaggio e disperato di una madre
levarsi nell’aria vibrante come una maledizione.
Non potrei dormire se vedessi la frusta
bere il suo sangue ad ogni orrenda sferzata,
e i bimbi di lei strappati al suo petto
come colombe tremanti dal nido dei genitori.
Trasalirei e inorridirei se udissi i latrati
dei segugi che afferrano la preda umana
e il prigioniero invano implorare
mentre lo legano all’odiosa catena.
Se vedessi le fanciulle strappate alle braccia materne,
barattate e vendute per la loro giovane bellezza,
i miei occhi sfavillerebbero di dolorosa fiamma,
le mie guance pallide di morte avvamperebbero di vergogna.
Vorrei dormire, cari amici, dove nessun tronfio potere
possa derubare l’uomo del suo più sacro diritto;
il mio sonno sarà calmo in una tomba
dove nessuno chiamerà schiavo il suo fratello.
Non chiedo un monumento grande e maestoso,
che arresti lo sguardo dei passanti;
tutto quello che il mio spirito ardentemente implora
è: “non seppellitemi in una terra di schiavi”.
Langston Hughes
Langston Hughes (Joplin 1901, New York 1967) è stato un poeta statunitense che il padre, preoccupato che la scrittura non gli avrebbe permesso di vivere in maniera agiata, iscrisse alla facoltà di ingegneria. Nonostante i voti eccellenti Langston fu costretto a lasciare gli studi a causa di ripetuti episodi razziali da parte di studenti e professori.
La libertà
La libertà non verrà
oggi, quest’anno
o mai
tramite il compromesso e la paura.
Io ho gli stessi diritti
di chiunque altro
di camminare
con le mie gambe
e possedere la terra.
Sono stufo di sentirmi ripetere
Lascia correre
Domani è un altro giorno
Non mi serve la libertà da morto.
Non posso vivere del pane di domani.
La libertà
è un seme robusto
seminato nella grande necessità.
Io pure vivo qui.
E voglio la libertà
esattamente come te.
.
Jim Crow
Dov’è il posto per Jim Crow
Su questa giostra?
Signore, perché io voglio salire.
Giù nel Sud, da dove provengo,
Bianchi e negri
Non possono sedersi uno accanto all’altro.
Giù nel Sud, nel treno
C’è una carrozza apposta per Jim Crow
Sulle corriere ci mettono dietro,
Ma qui non v’è un retro
Per una giostra!
Dov’è il cavallo
Per un bambino negro?
.
Anch’io canto l’America
Anch’io canto l’America.
Io sono il fratello più scuro.
Mi mandano a mangiare in cucina
Quando vengono ospiti,
ma io rido
e mangio bene
e divento forte.
Domani,
siederò a tavola
quando vengono gli ospiti.
Allora
Nessuno oserà
Dire di me
E poi,
vedranno come sono bello
e si vergogneranno:
anch’io sono l’America.
Wanda Coleman
Wanda Coleman (Los Angeles 1946, 2013) è stata una poetessa molto conosciuta in California, definita the L.A. Blueswoman, che per tutta la vita si è battuta per la dignità e i diritti della sua gente. Cresciuta nel quartiere di Watts, noto per la rivolta afroamericana del 1965, Wanda fu una delle principali attiviste nella lotta contro il razzismo e i metodi repressivi della polizia, principali temi trattati all’interno dei suoi versi.
Non saranno poeti
arriveranno con l’elicottero prima di mezzogiorno
le autorità li invieranno fra di noi
assalteranno i nostri quartieri e isoleranno
le strade vicine
arriveranno con caschi e con tute mimetiche
la loro tenerezza protetta da giacche anti-proiettili
le mani in alto per fermare i sospetti e gli innocenti
meglio che arrivi disarmato. meglio che cammini
con le tue mani
dove loro possono vederle
non sono permesse parole aggressive
niente è permesso al di là della loro esperienza
nessun accesso senza permesso
questo eterno nemico non sta scherzando
lo scopo di questa azione è il silenzio
rimozione e trasferimento seguiranno dopo
attualizzati da burocrati con culi alti
dopo che i fuochi superficiali della polemica si sono spenti
e tutti i media hanno riattivato la loro indifferenza questa esistenza è cancellata
scappa se devi. però attento al cerchio