Scrittori

Come le scrittrici dell’Ottocento hanno falsato il nostro concetto di amore

C’è una premessa doverosa da fare a questo post: è ironico. Chi mi conosce sa bene quanto io mi senta a mio agio (quasi esclusivamente) tra le pagine ingiallite dei classici. Se non fosse per quel mio piccolo sogno di lavorare in una casa editrice nell’anno corrente prenderei in mano quasi sempre libri scritti nell’Ottocento (che sono, senza ombra di dubbio, i miei preferiti); attiverei la mia macchina del tempo in formato 15×23 e mi farei trasportare in una casa di campagna dove sarei, finalmente, legittimata a fare le cose che più mi piacciono senza apparire matta: leggere, scrivere, dipingere, cantare e fare lunghe passeggiate nella natura. E dove, una volta per tutte, mi divertirei anche io ad andare a ballare! Perché dai, i balli di quell’epoca non hanno niente a che vedere con la discoteca di oggi.

Altra premessa, forse ancora più importante della precedente: questo post pullula di spoiler (ufficialmente nuovo scioglilingua). Se non avete letto neanche un libro di Jane Austen e i romanzi delle sorelle Brontë vi consiglio di cliccare sulla crocetta rossa in alto e chiudere tutto, visto che vi svelerò tutti i finali senza pietà. Detto ciò, possiamo cominciare!

Voglio iniziare subito discolpando il signor Disney. Tutte danno la responsabilità a lui per le nostre aspettative alte sull’amore. MA PERCHÉ? Analizziamo una volta per tutte la situazione. I principi Disney (al contrario delle principesse) non hanno affatto una personalità sfaccettata e quando ce l’hanno non sempre è questa grande meraviglia! Togliamo Adam che regala a Belle la libreria più grande del mondo e si merita solo amore. Togliamo Aladdin che, pur essendo un grandissimo bugiardo, fa veramente di tutto per conquistare Jasmine e lo perdoniamo. Chi rimane? Il principe Filippo, un gran cantante, nulla di più. Il principe senza nome di Biancaneve. Un bacio, mentre lei era totalmente in coma (e quindi neanche capace di giudicare la prestazione) e puff, subito sposi. Il principe di Cenerentola. Un grande genio. La ama così tanto (dopo un ballo) che non se la ricorda neanche in faccia, deve far provare a tutto il regno la scarpina perduta per ritrovarla. Infine, ma non meno importante, quel gran figo di Eric. Bello è bello ma rammentiamo tutte che di Ariel ricordava solo la voce e che stava per sposare quella stronza della strega del mare, vero? Ma i classici Disney sono bellissimi proprio perché surreali e nessuna di noi (mi auguro) ha plasmato le sue aspettative sugli uomini sul modello del principe azzurro.

Veniamo quindi a chi sono le vere colpevoli delle nostre sfortunate scelte in amore. Ebbene sì, le nostre amiche Jane, Emily e Charlotte. Mettiamoci comode e scopriamo perché.

Cime Tempestose

In Cime tempestose Emily Brontë ci racconta un amore che definirlo tormentato è dire poco. L’amore tra Catherine e Heatchliff non è tormentato, è malsano. Heatchliff è una persona tossica, una relazione con lui non l’augurerei neanche a quella stronza che al buffet dell’aperitivo prende l’ultima porzione di patatine fritte. Lui dice di amare Catherine ma, in verità, fa di tutto per farle del male. Anche quando lei fa l’unica scelta corretta della sua amara vita, sposando qualcuno che la ama veramente e si prenderà cura di lei, l’ombra di Heatchliff è sempre lì presente a rovinarle i giorni e le notti (e pure i pomeriggi) fino a farla ammalare e morire. Diremmo: almeno da morta ha finalmente trovato la pace. NO. Pure dopo la morte la sua anima vaga inquieta e subisce. Lui continua nella sua opera di non-amore cercando di rovinare in ogni modo la vita di sua figlia, nella quale vede lei. Praticamente uno stalker psicopatico. Qui, ancora, qualcuna con un minimo di criterio potrebbe capire che avere una storia d’amore del genere non è il massimo. Ma andiamo avanti, dove la situazione appare più torbida.

Jane Eyre

Charlotte Brontë ci racconta la storia di Jane Eyre che viene assunta come governante presso la dimora di Thornfield Hall, della quale conosce, dopo un po’ di tempo, il padrone di casa, Mr. Rochester. Il primo approccio con lui non è dei migliori: è scontroso, presuntuoso, poco gentile e, visto che le disgrazie vengono tutte insieme, anche brutto. Ehi, dobbiamo assolutamente innamoraci di lui! E infatti Jane diventa sua. Se vogliamo trovare una spiegazione più plausibile al suo innamoramento diciamo che Rochester si ammorbidisce molto con Jane, nel corso della storia, e tra i due si crea un rapporto speciale quando sono soli. Ma, allo stesso tempo, la ignora davanti a gente del suo stesso rango, facendo una corte spietata a un’altra donna, convincendo tutti di voler sposare quest’ultima. Scopriamo, qualche pagina più in là, quando la nostra povera Jane ha una crisi di nervi e decide di lasciare il suo lavoro prima di questo matrimonio, che Rochester non è affatto innamorato di questa fantomatica donna e non la sposerà, voleva solo che lei si ingelosisse e poi, dopo averla distrutta, convolare a nozze. Ma che bravo! Un uomo maturo e sensibile. Come se non bastasse si dimentica di menzionare una moglie già esistente (anche se pazza), di cui la protagonista viene a conoscenza (non da lui, certo) solo arrivata all’altare. Da lì Jane trova la forza di andare via, ma che ve lo dico a fare? Quando riesce a rifarsi una vita e a conoscere un altro uomo ritorna da Rochester. E vissero per sempre felici e contenti. Una bellissima storia tormentata da cui, però, cerchiamo di non prendere spunto.

Orgoglio e Pregiudizio e Ragione e Sentimento

Ma arriviamo alla reginetta del ballo: Jane Austen! Lei su questo meccanismo ti tratto una chiavica ma poi ti sposo ci ha scritto diversi libri. Ne prenderemo in esame due. In Orgoglio e Pregiudizio sappiamo tutte che quel gentiluomo di Mr. Darcy definisce Elizabeth «appena passabile» al loro primo incontro, senza preoccuparsi di abbassare la voce. La nostra protagonista ha delle orecchie funzionanti, lo sente e (stranamente) non se ne innamora. Ovviamente, però, la vita è difficile in questo mondo romantico e Darcy, dopo aver detto questa cattiveria immotivata se ne innamora perdutamente. Ma, attenzione, non fa mai niente per farglielo capire; poi, di punto in bianco, le chiede di sposarlo. Giustamente Elizabeth non ha neanche un motivo per dire di sì e (non ci siamo addentrati nella trama ma la conoscono i più) molti per dire di no e quindi rifiuta. Dopo questo spiacevole episodio arriva una lettera di ben due fogli «scritti assai fitti e con una minutissima calligrafia» (quindi un papiro) che ci fa scoprire che Darcy non è uno stronzo come sembra ma un uomo meraviglioso, il Piton della situazione, per capirci. In Ragione e Sentimento, la più grande delle sorelle Dashwood, Elinor, si innamora di Edward Ferrars, un uomo abbastanza anonimo ma buono e gentile (oh, ognuna ha i suoi gusti) e lui sembra ricambiarla, nonostante la sorella di lui non approvi questo rapporto perché Elinor è, ovviamente, di rango inferiore. I due si separano e il libro va avanti nella sua storia, che non è solo quella di Elinor. Quando si rivedono, l’atteggiamento di Edward nei confronti di Elinor è cambiato: egli è, infatti, visibilmente distaccato e ambiguo. Come mai? Si scopre più avanti che il nostro uomo è segretamente fidanzato da quattro anni con un’altra donna. E, nonostante sia evidente a tutti che questa storia sia bella che finita e lui è adesso innamorato della nostra protagonista, decide di non rompere il patto fatto anni prima perché nella vita ci vuole coerenza, no? Alla fine pure la fidanzata storica di Edward si rompe le palle di tanto anonimato e sposa il fratello, l’altro Ferrars. Finalmente Edward prende la sua vita in mano e si dichiara a Elinor con la quale, infine, si sposerà.

Quindi, ricapitolando: se un uomo ti tratta male, dice che sei appena passabile, è fidanzato o dà attenzioni a un’altra, non fa nulla di carino nei tuoi confronti, sparisce nel nulla senza alcun motivo, noi sciocche, cresciute a pane e romanzi dell’Ottocento, potremmo avere la Sindrome Austen (sì, l’ho coniata io) e credere che tornerà sui suoi passi o che stia covando un segretissimo amore per noi e domani busserà alla nostra porta dichiarandoci i suoi sentimenti. E invece no, mie care. Queste cose accadono solo in questi splendidi romanzi perché, diciamoci la verità, non nascerebbe alcun libro memorabile da una storia del tipo: «Elizabeth conobbe Mr. Darcy, il quale si innamorò immediatamente di lei e che, sicuro di essere ricambiato, chiese la sua mano. Il giorno dopo si sposarono». La nostra vita non è un romanzo ed è improbabile che riceveremo una lettera di due pagine e una dichiarazione d’amore domani se lui, fino a oggi, non ci ha degnate neanche di un messaggio. Se un uomo si comporta in maniera indifferente con noi vuol dire che per noi non prova assolutamente nulla. Questi libri non sono nati dall’immaginazione di uomini, sono stati scritti da donne che, esattamente come noi, hanno costruito dei castelli in aria (riportandoli poi su carta). Nessun uomo reale si comporterebbe davvero in questo modo. E, se non vi ho ancora convinte, vi ricordo che Jane Austen è morta single.

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Lettera a Diane Nguyen

Cara Diane, questo è un blog che tratta di scrittura, di libri, di editoria, di arte al massimo e così ti chiederai perché una lettera a te, personaggio di una serie tv. Ti scrivo questa lettera anche se non sei reale perché durante la mia quarantena la tua storia è stata tra le cose più reali con cui ho avuto a che fare. Ti scrivo questa lettera anche se sei un personaggio di una (la) serie tv perché abbiamo delle cose in comune e in fin dei conti sei una scrittrice, non andiamo troppo off topic, no? Ti scrivo questa lettera perché penso, sinceramente, di averne bisogno.

Ho seguito la tua storia dall’inizio: un’affascinante ghostwriter, intelligente, acculturata, femminista che deve scrivere le memorie di una star ormai in declino; come poteva BoJack non innamorarsi di te? Diciamocelo, ho tifato per voi da subito. Il perché non lo so, non conoscevo ancora bene BoJack, non mi aveva ancora ferita, cosa che poi ha fatto innumerevoli volte. Credevo che tu avresti potuto non cambiarlo, perché non bisogna cambiare qualcuno, ma portare alla luce la sua parte migliore. Purtroppo, non so perché, abbiamo quest’eterna idea sbagliata di dover aiutare le persone che amiamo a eliminare i mostri che abitano la loro mente e che solo loro possono sconfiggere. Ma tu avevi una persona più importante da salvare: te stessa. Oggi posso dire che non cambierei una virgola della serie.

Odiavo Mr. Peanutbutter, non capivo come un personaggio dall’indole così superficiale potesse stare con te ma ho compreso anche quello: per persone come noi, che sono pesanti come macigni per i numerosi fardelli che si portano dentro, la leggerezza è attraente come lo è la luce per le falene. C’è una scena della fine della vostra relazione che apre la tua nuova fase coi capelli corti (che figa) che mi fa scendere una lacrima ogni volta che ci inciampo:

La vera ragione per andare in Vietnam è perché vedi per caso il tuo futuro ex-marito che bacia un’altra. All’inizio pensi: oh, è una qualsiasi. Sono ubriachi, è una festa. Ma poi lui la stringe con la mano esattamente come faceva con te. Vuol dire: ti proteggo e quando lui lo faceva con te ti faceva sentire sicura. E ti rendi conto che lui non lo farà mai più. E questo ti spezza il cuore, dopo che il cuore ti era stato spezzato tante volte e credevi non potesse mai più spezzarsi. Pensavi fosse al sicuro, invece trova ancora un nuovo modo per spezzarsi.

La vera ragione di un cambiamento radicale nella vita di una donna è quasi sempre una delusione sentimentale. Magari non lo ammetteremo mai ma è così. Chissà quante altre donne devono essersi immedesimate in questa scena, quante di noi si sono riviste in quel mascara che cola in amarissime lacrime nere. Quante di noi si sono viste sostituite all’improvviso da un’altra donna. Quante di noi erano sicure di aver imparato la lezione, di essere diventate più forti e invece erano ancora e saranno sempre vulnerabili alle emozioni. Perché, diciamocelo chiaramente, la gente che dice che è la vita ad averla resa stronza mente: è sempre stata stronza. E non c’è niente da fare, se l’empatia è un ingrediente del tuo DNA non lo diventerai mai stronza, collezionerai solo una quantità infinita di cicatrici invisibili.

La tua prima fase di depressione, quando ti vergogni di tornare da Mr. Peanutbtutter, dopo l’esperienza di reporter in una realtà straniante come quella della guerra, mi ha fatto ripensare alla me di qualche anno fa. Le schifezze restano ancora oggi le mie più grandi amiche quando sono triste. Patatine e cioccolato sono importanti quanto le amicizie in carne ed ossa nei momenti di crisi, ma credo che questo sia un punto comune di tutta l’umanità. Però il disordine che riesci a creare a casa di BoJack, quando ti trasferisci da lui, mi ha ricordato che anche io faccio così. Diciamo che gli anni di convivenza con altre persone mi hanno migliorata, adesso non semino al mio passaggio abiti e libri in perfetto stile Hansel e Gretel per ritrovare me stessa; di base, anzi, sono piuttosto ordinata. Ma quando ancora vivevo a casa con i miei, ogni volta che qualcosa mi scuoteva a livello psicologico, scaricavo intorno a me tutto il caos che avevo dentro. Era più forte di me, tutto quell’ordine all’esterno quando io mi sentivo completamente in disordine all’interno, mi infastidiva da matti! Così in casa c’erano scenette di questo tipo: mio fratello bussava alla porta di camera mia e quando questa, cigolando, si apriva con difficoltà esordiva sempre con un “Ne vuoi parlare?”

Sei stata chiusa in quella bolla di oggetti alla rinfusa e cibo spazzatura per tutta la seconda stagione. Costantemente spettinata, con un unico outfit (il pigiama), un fusorario del sonno completamente sballato e senza un filo di trucco. Dillo che avevi pure tu la sindrome della capanna. Per quanto quelle quattro mura che ti eri costruita con pile di abiti sporchi e lattine non fossero il massimo, affrontare il mondo esterno, quello che avevi dovuto vedere nella sua veste peggiore, la cruda realtà era molto peggio. Non sai quanto possa capirti adesso, non sai in quanti possano comprenderti in questo momento.

Ma è la tua ultima fase, quella in cui provi a scrivere la tua autobiografia che mi ha fatto capire quanto io e te ci somigliamo. A un certo punto di questa quarantena mi sono sentita rotta. Non riesco a trovare un termine migliore di questo. Non è bello, lo so. Ma è così che mi sono sentita. A un certo punto avverti che ti si rompe qualcosa dentro, un guasto idraulico probabilmente perché cominci a piangere per ogni singola cosa; ma non solo, compiere le azioni più semplici diventa improvvisamente difficile. Nella puntata 06×10 ti rompi anche tu. Hai un blocco e non riesci più a fare la cosa che ti viene più naturale al mondo: scrivere. Un piccolo blocco dello scrittore l’ho avuto anche io. Non sono una scrittrice, ma scrivere è una cosa che mi riesce abbastanza bene, mi piace da quando ho imparato a farlo e sa essere per me uno sfogo come poche attività riescono ad esserlo. Ho dovuto, in questa stranissima fase, scrivere un saggio per un libro che dobbiamo pubblicare alla fine del master che sto seguendo e mai nulla è stato più difficile. Ancora oggi che è bello che finito non sono per nulla soddisfatta. Il fatto che parlasse di Sepulveda (che è morto mentre ne stavo scrivendo) mi ha fatta sentire ingiustamente in colpa. Se avessi potuto consegnare al mio professore 4 paginette di “I am terrible” lo avrei fatto. Ho quattro articoli, qui sul blog, scritti a metà nel mese di Aprile, che probabilmente non completerò mai e non sono neanche totalmente certa del fatto che pubblicherò questo post.

Questo guasto all’interno della serie tv è spiegato con la metafora di un’insalatiera che finisce in cocci. C’è un modo per assemblare i pezzi, la tecnica giapponese del Kintsugi ripara gli oggetti con una colata d’oro nelle crepe e questi diventano più preziosi e belli di prima. Così anche le nostre ferite emotive, i nostri traumi possono guarire, diventando motivo di crescita e non necessariamente qualcosa di eternamente negativo. Da quando ti rompi essere una bella insalatiera diventa la tua ossessione. Cerchi un colpevole per tutti quei graffi al cuore, per quella tristezza che ti fagocita: incolpi la tua famiglia, i tuoi amici, gli amori passati. In alcune frasi che continuano a urlarti i personaggi che si avvicendano nei tuoi pensieri mi sono ritrovata perfettamente.

Il tuo trauma non è interessante, non meriti amore.

Perché all’inizio sei affascinante ma alla fine mica tanto.

Sono parole che mi hanno colpita come uno schiaffo in faccia. E sai perché? Perché ho creduto che la gente pensasse questo di me più di una volta. Ma è molto più probabile che siamo noi stesse a pensarlo. Noi persone sensibili possiamo diventare malinconiche per una parola sbagliata di qualcuno a cui teniamo, per una giornata di pioggia, per un’immagine che non volevamo vedere, per una frase che non dovevamo leggere. La malinconia è una nostra caratteristica, fa parte di noi e non possiamo scacciarla del tutto, dobbiamo però evitare assolutamente che questa prenda il sopravvento e diventi una tristezza insostenibile. Ha ragione Princess Carolyn quando dice che sei tu a voler essere triste, che sei tu stessa il tuo male e io so che posso essere il mio. Quindi, che ne dici se invece di cercare nel comportamento sbagliato degli altri i motivi della nostra sofferenza non accettiamo che è soprattutto un nostro modo di essere e ammettiamo che siamo delle belle insalatiere, anche se scomposte?